+39 049 7968508, +39 049 7423321 info@ceccatotormen.com

Il lavoro agile ai tempi del COVID

Lug 2, 2020

Tempo di lettura 10 m.

Si parla sempre più di lavoro agile o smart-working, modalità di lavoro divenuta preponderante durante l’emergenza SARS-CoV-2.

Non sempre però è chiaro in cosa consista concretamente questo istituto e come gestirlo correttamente.

Cerchiamo di dipanare alcuni dubbi e richiamare l’attenzione su aspetti spesso sottovalutati.

RIEPILOGHIAMO: CHE COS’È LO SMART WORKING?

L’art. 18, c. 1, l. n. 81/2017 definisce il lavoro agile una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato avente le seguenti caratteristiche:

  • accordo tra le parti;
  • organizzazione del lavoro per fasi, cicli e obiettivi;
  • assenza di precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva;
  • possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Queste caratteristiche lo differenziano rispetto al telelavoro, in cui la modulazione dell’orario resta invariata rispetto a quella prevista nella sede aziendale e la postazione lavorativa è fissa e predeterminata.

IN COSA CONSISTE LO SMART WORKING SEMPLIFICATO PREVISTO PER L’EMERGENZA SARS-COV-2?

Si tratta sempre dell’istituto disciplinato dalla l. n. 81/2017, ma con una particolarità: è possibile infatti ricorrervi anche in assenza di accordo individuale.

Infatti, ai lavoratori che, in considerazione della situazione emergenziale, potevano svolgere l’attività lavorativa in modalità agile poteva (per quanto “caldeggiato” dal Legislatore) essere comunicato unilateralmente da parte del datore di lavoro il periodo e il luogo in cui svolgere l’attività stessa.

I vari provvedimenti governativi prevedevano la consegna ai dipendenti di un’adeguata informativa con riferimenti agli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro (secondo un modello redatto dall’INAIL). Nessuna disposizione, diversamente, in merito a privacy, obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, indicazioni relative agli ambienti indoor e corretto utilizzo delle attrezzature che dovranno essere regolamentati dalla previgente disciplina di cui alla legge n. 81/2017.

È innegabile che, almeno nell’immediatezza della sua introduzione, questa tipologia di smart working presentasse dei profili problematici. Il d.p.c.m. del 23 febbraio 2020, e poi quello del 1° marzo 2020, ne avevano infatti previsto l’applicabilità in via automatica ad ogni rapporto di lavoro subordinato, provocandone, nella pratica, una commistione con il telelavoro.

Infatti, i provvedimenti governativi adottati durante l’emergenza epidemiologica presupponevano – e d’altronde non poteva essere diversamente in pieno lockdown – che il lavoro venisse effettuato esclusivamente dalla propria abitazione (attesi i divieti di spostamento) e per gli orari ordinari che sarebbero stati svolti nella sede aziendale (indici caratteristici del telelavoro).

L’art. 90 del d.l. n. 34/2020 prevede il ricorso a questo istituto per l’intera durata dell’emergenza e comunque entro la data del 31 dicembre 2020.

Per quanto riguarda le comunicazioni obbligatorie, è possibile ricorrere ad una procedura di comunicazione massiva semplificata disponibile sul portale Cliclavoro. Tale comunicazione semplificata, però, non può essere modificata o revocata. Pertanto, se si ipotizza la necessità di richiamare al lavoro i dipendenti, è preferibile procedere con una comunicazione ordinaria.

La comunicazione di smart working deve sempre avvenire il giorno prima rispetto a quello di inizio, altrimenti il datore di lavoro potrebbe incorrere nel rischio di una sanzione amministrativa.

Infatti, la normativa in materia di preventiva comunicazione non è stata derogata per l’emergenza SARS-CoV-2.

Nello specifico, l’art. 23, c. 1, l. n. 81/2017, dispone come l’accordo per lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità di lavoro agile e le sue modificazioni, sono oggetto delle comunicazioni di cui all’articolo 9-bis, d.l. n. 510/1996. Quest’ultima norma prevede l’obbligo di comunicazione al Servizio competente entro il giorno antecedente a quello di instaurazione dei relativi rapporti, mediante documentazione avente data certa di trasmissione. La sua inosservanza viene punita dall’art. 19, c. 3, d. lgs. n. 276/2003, con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ogni lavoratore interessato.

DIRITTI E PRIORITÀ NELLA RICHIESTA DI SMART-WORKING

Fino alla fine dell’emergenza epidemiologica, hanno diritto a svolgere l’attività in modalità agile:

  • i lavoratori dipendenti in condizione di disabilità grave, o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità grave, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione (art. 39 d.l. 18/2020)
  • i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di 14 anni (art. 90 d.l. 34/2020) a condizione che:
  • non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito, in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa, o che non vi sia genitore il quale non presta attività lavorativa;
  • tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione.

Ai sensi dell’art. 39, c. 2, d.l. 18/2020 hanno invece priorità nella richiesta di smart working i lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa.

Inoltre, il diritto o la priorità allo svolgimento di lavoro in modalità agile, si applicano anche ai lavoratori immunodepressi o ai loro familiari conviventi.

In linea generale, a prescindere dall’emergenza epidemiologica, il datore di lavoro deve riconoscere priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile formulate (art. 18, c.3-bis, l. n. 81/2017):

  • dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità;
  • dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità grave.

COME COMPORTARSI PER QUANTO CONCERNE LA TUTELA INAIL?

In linea di massima, non è necessaria una denuncia di svolgimento dello smart working ai fini assicurativi, a meno che non ci sia un mutamento del rischio assunto dal lavoratore e quindi della relativa voce di tariffa (circolare Inail n. 48/2017).

Le informazioni contenute nella comunicazione in Cliclavoro vengono infatti trasmesse all’Inail nell’ambito dell’accordo di cooperazione con il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali.

L’art. 23, l. n. 81/2017, prevede che il lavoratore abbia comunque diritto alla tutela contro gli infortuni e le malattie professionali derivanti da rischi connessi alla prestazione lavorativa nonché per gli infortuni in itinere.

È importante pertanto accertarsi di aver consegnato l’informativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro agile che individui i rischi lavorativi a cui il lavoratore è esposto e i riferimenti spazio–temporali.

Secondo la circolare Inail n. 48/2017, la mancanza di indicazioni sufficienti all’individuazione dei rischi comporta possibili rallentamenti nell’indennizzabilità dell’evento infortunistico. Pertanto, potrebbero essere effettuati specifici accertamenti finalizzati a verificare la sussistenza dei presupposti sostanziali della tutela.

POSSO RECEDERE UNILATERALMENTE DALL’ACCORDO / COMUNICAZIONE DI SMART WORKING?

Sì, ma la disciplina differisce a seconda del tipo di accordo.

In presenza di un accordo a termine, ciascuno dei contraenti può recedere unicamente per giustificato motivo.

Nel caso di accordo a tempo indeterminato, il recesso invece può avvenire secondo due modalità:

a) con un preavviso non inferiore a trenta giorni;

b) senza preavviso, ove ricorra un giustificato motivo.

Se l’accordo riguarda lavoratori disabili (tali intendendosi quelli ex art. 1, l. n. 68/1999), il termine di preavviso del recesso da parte del datore di lavoro non può essere inferiore a novanta giorni, al fine di consentire un’adeguata riorganizzazione dei percorsi di lavoro rispetto alle esigenze di vita e di cura del lavoratore.

Ma come comportarsi nei confronti della modalità di lavoro agile non oggetto di intesa in quanto “brandizzata” COVID-19?

L’art. 4 del d.p.c.m. 1° marzo 2020 fa riferimento alla «modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81 (…) nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni» e quindi parrebbe che si applichi anche la disciplina generale sul recesso dallo smart working a tempo determinato.

QUALI SCENARI IN MERITO AL LAVORO AGILE?

Pur comprendendo lo spirito delle disposizioni emergenziali in materia di accesso al lavoro agile, deve rilevarsi come sia da preferire sempre la stipula di un accordo individuale con il singolo lavoratore.

Nella realtà, comunicazioni individuali semplicistiche di collocazione in smart working potrebbero non esimere l’azienda da future richieste di straordinari e/o maggiorazioni per attività notturne o altro, dato che questi istituti possono essere disciplinati solo dall’accordo individuale tra le parti. Si pensi, ad esempio, al lavoratore che intenda recarsi nella seconda casa o in luoghi di villeggiatura e lì lavorare in modalità agile: sarà possibile per l’azienda inibire tale possibilità (imponendo allo stesso di continuare a prestare attività dentro le mura domestiche) oppure ciò rientra nel diritto del collaboratore trattandosi comunque (forse impropriamente) di smart working?

Come vedete, è la comunicazione di collocazione in smart working, ovvero la presenza di un accordo, che consentirà di prevenire problematiche future.

Ti sono rimasti dei dubbi sull'argomento?

Contatta i nostri consulenti per avere le risposte.