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Prestazioni di lavoro di brevissima durata: quali sono le migliori soluzioni per le aziende?

Dic 5, 2019

Tempo di lettura 14 m.

Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato è la forma comune di assunzione dei dipendenti e il legislatore ne agevola l’utilizzo influendo direttamente sul costo del lavoro, incoraggiando le aziende ad assumere a tempo indeterminato, colpendo le altre tipologie contrattuali mediante un costo sensibilmente maggiore.

Tuttavia, spesso accade di avere la necessità di dover utilizzare un lavoratore per un breve (o addirittura brevissimo) periodo di tempo, rendendo, di fatto, impensabile un’assunzione a tempo indeterminato.

Quali sono, quindi, le soluzioni che un’azienda può adottare in queste situazioni?

Vediamo di seguito le principali caratteristiche dei contratti di lavoro di brevissima durata e quali sono i benefici e gli svantaggi che si possono ottenere avvalendosi di una risorsa assunta con tipologie contrattuali diverse dalla forma “comune” del contratto a tempo indeterminato.

Lavoro a tempo determinato – artt. 19-29 D. Lgs. 81/2015, modificato dal D.L. 87/2018, convertito in L. 96/2018

Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato, nel quale è prevista una durata prestabilita (attraverso l’apposizione di una scadenza).                            

Durata del contratto: contratti a termine possono essere stipulati per qualsiasi esigenza e per lo svolgimento di qualsivoglia mansione, senza necessità di apporre una specifica causale, solo per un periodo massimo di 12 mesi (diversamente, per contratti di durata superiore ai 12 mesi risulta indispensabile l’indicazione di una causale).

Tale contratto si presenta, quindi, di estrema utilità nel caso di assunzioni di brevissima durata in quanto consente di assumere personale anche per un solo giorno senza particolari causali e con il vantaggio di poter facilmente chiudere il rapporto di lavoro (il rapporto, infatti, si conclude automaticamente alla scadenza del termine prefissato, senza necessità di una motivazione, di rispetto del preavviso e di una formale comunicazione).

Tuttavia, tale tipologia contrattuale presenta alcune importanti peculiarità e limitazioni che potrebbero non renderne agevole l’utilizzo.

Limiti quantitativi: salva diversa disposizione dei contratti collettivi, il numero dei lavoratori a termine che possono essere assunti è al massimo pari al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione (per le aziende che occupano fino a 5 dipendenti è possibile stipulare un solo contratto di lavoro a termine).

Contributo addizionale: a tali contratti si applica l’aliquota contributiva prevista per i contratti a tempo indeterminato, maggiorata dell’1,4%. Tale maggiorazione contributiva è aumentata dello 0,5% in occasione di ogni, eventuale, rinnovo del contratto a termine.

Rinnovi: il contratto può essere rinnovato solo a fronte della sussistenza delle causali previste espressamente dalla norma e a condizione che tra la fine del precedente contratto e l’inizio del nuovo rapporto trascorra un intervallo minimo (c.d. stop and go, pari a 10 giorni se la durata del primo contratto è inferiore ai 6 mesi o a 20 giorni se la durata del primo contratto è superiore ai 6 mesi).

Nella pratica, tale previsione fa sì che l’utilizzo di un lavoratore per prestazioni brevissime possa essere difficilmente applicabile in caso di necessità di una seconda, successiva, assunzione, in quanto tale riassunzione richiederebbe necessariamente la sussistenza di una causale. Ciò impone concretamente di dover assumere sempre “nuovi” lavoratori, per i quali non è richiesta la presenza di una motivazione.

Ad ogni modo, giova ricordare come, per prestazioni inferiori a 15 giorni, un’assunzione a termine potrebbe risultare facile, agevole, meno costosa per la non maturazione contrattuale dei ratei.

Lavoro intermittente (c.d. lavoro “a chiamata” o “job on call”) – artt. 13-18 D. Lgs. 81/2015

Il contratto di lavoro a chiamata (o intermittente) è una particolare tipologia contrattuale mediante la quale il lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo a seconda delle proprie esigenze (es. picchi di produzione, particolari festività ecc).

Causali del ricorso al lavoro intermittente: è possibile concludere contratti di lavoro intermittente nelle seguenti ipotesi:

  • Per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, di qualsiasi livello;
  • In assenza di regolamentazione collettiva i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con D. M. del 23 ottobre 2004 (che rinvia alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al R.D. 2657/1923), ferme restando eventuali deroghe per i lavori definiti discontinui;
  • in ogni caso con soggetti aventi meno di 24 anni di età (purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno), oppure più di 55 anni.

Durata del contratto: il contratto di lavoro intermittente può essere stipulato a tempo indeterminato o a termine (in quest’ultimo caso è esclusa l’applicazione della disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato).

Sono previste due tipologie contrattuali di lavoro intermittente:

  • Senza obbligo di risposta: il lavoratore non è vincolato alla chiamata del datore di lavoro e, dunque, è libero di accettare ed eseguire la prestazione oppure di rifiutarla;
  • Con obbligo di risposta: il lavoratore si obbliga contrattualmente a rispondere alla chiamata del datore di lavoro. Proprio per tale ragione, oltre al normale trattamento economico spettante per i periodi lavorati, il lavoratore ha diritto a un’indennità mensile per i periodi di inattività (c.d. indennità di disponibilità).

Il contratto di lavoro intermittente senza obbligo di risposta (a differenza di quello con obbligo, che, invece, richiede un costo “costante”, dovendosi corrispondere ogni mese la relativa indennità), risponde sicuramente alle esigenze di ricorrere a prestazioni anche di durata brevissima o comunque non predeterminata, in base alle esigenze aziendali.

Anche per tale tipologia contrattuale esistono alcune limitazioni.

La prima limitazione concerne la quantità di lavoro che può essere resa dal prestatore: difatti, il contratto è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore alle 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari (limite non applicato per i lavoratori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo), pena la trasformazione in un rapporto a tempo pieno ed indeterminato.

Non vi sono particolari differenze, invece, per quanto concerne il trattamento economico e normativo: il lavoratore intermittente non deve ricevere, per i periodi lavorati e a parità di mansioni svolte, un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore avente pari livello.

Comunicazione di inizio della prestazione lavorativa

Fermo restando l’obbligo di provvedere alla preventiva comunicazione di assunzione (modello Unilav) con le stesse modalità previste per la generalità dei lavoratori dipendenti (che, si ricorda, va eseguita una sola volta, al momento della stipulazione del contratto), si affianca un ulteriore adempimento: prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, è necessario che il datore di lavoro comunichi le giornate di lavoro all’ITL competente per territorio (in assenza della quale, è prevista una sanzione amministrativa).

Vantaggi e svantaggi

In definitiva, il contratto di lavoro intermittente risulta conveniente per il datore di lavoro in quanto può chiamare il lavoratore “all’occorrenza”, consentendogli in ogni momento di non richiederne più la prestazione, senza doversi accollare i rischi legati al licenziamento.

Inoltre, risulta possibile stipulare con lo stesso lavoratore più contratti di lavoro a chiamata senza dover rispettare le regole in materia di rinnovi, proroghe ecc., con il solo limite delle 400 giornate.

Nel caso di lavoro a chiamata senza obbligo di risposta, il lavoratore viene retribuito soltanto per il periodo effettivamente lavorato e, dunque, nei periodi di “non lavoro”, non matura alcun trattamento economico e normativo e pertanto non rappresenta un costo per l’azienda.

Prestazioni occasionali – art. 54 bis D.L 50/2017, convertito in L. 96/2017

L’art. 54-bis della legge n. 96/2017 ha disciplinato le prestazioni di lavoro occasionali (i “vecchi voucher”). Questo istituto è sicuramente una forma contrattuale utilizzata in molti casi per lo svolgimento di prestazioni semplici, di durata molto breve e/o sporadica.

Le prestazioni di lavoro occasionale possono essere utilizzate per svolgere attività lavorative a carattere saltuario e di ridotta entità. Per tale motivo, la norma prevede alcuni limiti (riferiti all’anno civile):

  • Ogni prestatore non potrà percepire dalla totalità degli utilizzatori compensi per un importo superiore ad € 5.000;
  • Ogni utilizzatore non potrà erogare compensi, riferendosi alla totalità dei prestatori, di importo complessivamente superiore ad € 5.000;
  • Ogni utilizzatore non potrà corrispondere, in favore dello stesso prestatore, compensi superiori ad €500.

Tali limiti prevedono una quantificazione differenziata per particolari categorie di lavoratori (studenti, pensionati, percettori di naspi, disoccupati).

Limiti all’utilizzo delle prestazioni di lavoro occasionali: Il prestatore potrà essere qualsiasi soggetto che non abbia in corso (o che non abbia avuto negli ultimi 6 mesi), alcun rapporto di lavoro subordinato o di co.co.co con il medesimo utilizzatore.

Esistono, inoltre, ulteriori limitazioni: tale tipologia non può essere utilizzata:

  • per l’esecuzione di appalti di opere o servizi;
  • da soggetti che, nell’anno precedente, abbiano occupato mediamente più di cinque lavoratori subordinati a tempo indeterminato.

Sia il prestatore che l’utilizzatore per poter utilizzare tale istituto, devono preventivamente registrarsi su un’apposita piattaforma dell’Inps.

Compenso: La misura del compenso è fissata dalla normativa nel rispetto di un minimo orario di € 9,00 netti all’ora (circa 12,37€ lordi orari), e le prestazioni dovranno svolgersi in intervalli di almeno quattro ore. Nella pratica, quindi, l’importo per le singole prestazioni risulterà pari ad un minimo di € 36,00, anche se la prestazione dovesse svolgersi in meno di quattro ore.

Tale modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, seppur complicata da numerose limitazioni normative e particolarmente complessa per quanto concerne la gestione da un punto di vista burocratico, potrebbe risultare uno strumento molto utile, soprattutto per piccole realtà imprenditoriali che non intendano assumere a tempo indeterminato.

Lavoro autonomo occasionale ex art. 2222 c.c.

Accanto a prestazioni di lavoro subordinato (dove, quindi, il datore di lavoro impartisce espressamente al lavoratore dei compiti, definendone le modalità ed i tempi di gestione), potrebbe essere utile considerare anche la forma del lavoro autonomo vero e proprio.

L’attività di lavoro autonomo di tipo occasionale, definita nell’art.2222 del Codice Civile, si realizza quando una persona si obbliga a compiere nei confronti del committente, a fronte di un corrispettivo, un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione.

Si badi bene, tale tipologia di lavoro, rappresenta un’attività autonoma a tutti gli effetti e deve necessariamente possedere determinate caratteristiche per non ricadere nell’alveo (e, quindi nei costi e nelle responsabilità) del lavoro subordinato:

  • la prestazione di lavoro deve essere prevalentemente personale;
  • assenza del vincolo di subordinazione;
  • tempo limitato della prestazione;
  • il contratto deve essere a titolo oneroso;
  • l’oggetto della prestazione consisterà nell’esecuzione di un’opera o di un servizio.

Attenzione: A complicare ulteriormente l’utilizzo di tale tipologia contrattuale, si aggiunge il fatto che qualora il lavoratore autonomo, ancorché occasionale, rientrasse nella fattispecie dei “lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui (in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all’articolo 47, comma 2, lettera a), del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attraverso piattaforme anche digitali),  si dovrebbe applicare la nuova e confusionaria disciplina introdotta dal Decreto Crisi (D.L. 101/2019 convertito in Legge 128/2019).  

Tale decreto invece di fare chiarezza, crea ulteriori zone d’ombra nell’interpretazione e nella distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, prevedendo che  si debba applicare ai lavoratori sopra richiamati (c.d. riders)  l’art. 2 comma 1 del d.lgs. 81/2015 (si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali).

Viste le difficoltà sopra esposte, il lavoro autonomo di tipo occasionale (complicato ancor di più dall’introduzione della “tutela” per i riders), risulta, in caso di prestazioni di brevissima durata, concretamente poco agevole e foriero di incertezze pratiche e applicative, che consentono di ritenere come sia in ogni caso preferibile un contratto a termine di breve durata in luogo dell’utilizzo del lavoro occasionale, visto e considerato, inoltre, che l’occasionalità, per una prestazione di 10 giorni (esempio) continuativa potrebbe non esserci.

Lavoro extra nel turismo e nei pubblici esercizi

 

Nei soli settori del turismo e dei pubblici esercizi è possibile ricorrere all’assunzione di manodopera mirata all’esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a tre giorni (c.d. lavori “extra” e “di surroga”), secondo quanto previsto dai contratti collettivi stipulati con i sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale (attualmente tale istituto viene previsto dall’art.93 CCNL Turismo – Confcommercio oppure art.104 CCNL Pubblici esercizi, ristorazione e turismo).

Di questa previsione si rileva anche un riferimento normativo all’art. 29 c.2 lettera b) del Jobs Act (D. Lgs. 81/2015), il quale stabilisce come questi rapporti siano esclusi dalla disciplina del tempo determinato, limitandosi a rimandare la disciplina ai CCNL di categoria.

Questa tipologia contrattuale, per quanto non recente (si pensi che la sua primissima formulazione si è avuta nel 1987 con l’articolo 23 c.3 della L. 56/1987, successivamente modificato) è per lo più sconosciuta o poco utilizzata dalle aziende. 

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