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Esigenza spesso avvertita dagli imprenditori, a fronte di un lavoratore con professionalità elevata, è quella di assicurarsi la continuità della prestazione per passare le consegne e per sostituire adeguatamente e tempestivamente il lavoratore che si è dimesso.

A tal fine, strumento frequente nella contrattualistica è la pattuizione di un prolungamento del preavviso di dimissioni, rispetto al termine stabilito dalla contrattazione collettiva. Tuttavia, onde evitare spiacevoli inconvenienti e future controversie, nel procedere alla redazione di tale clausola è necessario tenere bene a mente alcuni aspetti inerenti alla validità della pattuizione.

Scopriamoli insieme.

Quando è possibile stipulare un patto di prolungamento del preavviso?

In linea generale, a norma dell’art. 2118 c.c., è il contratto collettivo che può disciplinare la durata del preavviso di recesso.

L’art. 98 disp. att. c.c. dispone poi che «nei rapporti d’impiego inerenti all’esercizio dell’impresa, in mancanza di norme corporative o di usi più favorevoli, per quanto concerne… la durata del periodo di preavviso, si applicano le corrispondenti norme del R.D.L. 13 novembre 1924, n. 1825», che prevedono in due mesi la durata del preavviso.

Quindi, in prima battuta trova applicazione la disciplina collettiva e, in via suppletiva, quella di legge.

La giurisprudenza, tuttavia, ammette che le parti possano regolare diversamente il termine di preavviso, a prescindere da un apposito rinvio facoltizzante contenuto nella contrattazione collettiva.  Ciò perché, secondo le pronunce citate, il lavoratore subordinato può liberamente disporre della propria facoltà di recesso dal rapporto. Quindi, tale clausola non rientra in alcuna delle ipotesi di cui all’art. 1341 c.c., comma 2 in materia di clausole vessatorie, per le quali è richiesta l’approvazione specifica per iscritto (Cass. 3 novembre 2009, n. 23235).

Il patto di prolungamento del preavviso cede però di fronte al recesso per giusta causa, il quale potrà essere ordinariamente esercitato secondo il regime generale ex art. 2119 c.c.

La clausola di prolungamento del preavviso può ritenersi legittima a due condizioni:

  1. il patto deve attribuire al dipendente ulteriori benefici economici e di carriera in funzione corrispettiva del vincolo assunto circa la limitazione della facoltà di recesso, ancorandone l’esercizio ad un più lungo periodo di preavviso;
  2. la durata del patto deve essere circoscritta secondo limiti di ragionevolezza.

Analizziamo quindi partitamente i requisiti citati.

La corrispettività del patto

Secondo l’orientamento giurisprudenziale costante, la corrispettività del patto deve essere vagliata valutando l‘accordo nel suo complesso.

Infatti, nei rapporti a prestazioni corrispettive la reciprocità dell’impegno non va valutata atomisticamente – come contropartita della assunzione di ciascuna delle obbligazioni – bensì alla luce del complesso delle reciproche pattuizioni. L’equilibrio tra le prestazioni, sempre per principio generale, è oggetto di libera valutazione in capo a ciascun contraente, il quale nel momento in cui conclude il negozio resta arbitro della convenienza o meno della assunzione della posizione contrattuale. Al riguardo, le pronunce sul tema hanno affermato che «l’ordinamento rimette alle parti sociali ovvero alle stesse parti del rapporto la facoltà di disciplinare la durata del preavviso in relazione alle proprie valutazioni di convenienza, rendendo essenzialmente le parti arbitre del giudizio di maggior favore della disciplina concordata» (Cass. civ. sez. lav. 6 agosto 2015, n. 16527).

Dunque, nell’equilibrio delle posizioni contrattuali, il corrispettivo della clausola è sì necessario ma può essere liberamente stabilito dalle parti e può consistere nella reciprocità dell’impegno di stabilità assunto ovvero in una diversa prestazione a carico del datore di lavoro, consistente in una maggiorazione della retribuzione o in una obbligazione non-monetaria, purché non simbolica e proporzionata al sacrificio assunto dal lavoratore.

Così, l’accordo di prolungamento viene ritenuto legittimo se il lavoratore riceve, a fronte della deroga, l’attribuzione di benefici economici e di carriera in funzione corrispettiva del vincolo assunto (Cass. civ. sez. lav. 18 luglio 2018, n. 19080).  Oppure, si è statuita la vantaggiosità degli accordi di maggior durata del preavviso,poiché il lavoratore sarebbe così favorito dal computo dell’intero periodo agli effetti della indennità di anzianità, dei miglioramenti retributivi e di carriera (Cass. n. 3471/1981 e n. 5929/1979, richiamate da Cass. civ. sez. lav. 15 settembre 2016, n. 18122).

La ragionevole durata

Ulteriore requisito di legittimità del patto è la ragionevole durata dello stesso. La valutazione non può essere effettuata a priori, ma deve essere svolta caso per caso. Degli utili criteri orientativi, proposti dall’elaborazione dottrinale, appaiono quelli stabiliti dall’art. 2125 c.c. per il patto di non concorrenza, oppure i ventiquattro mesi indicati quale durata massima del contratto a termine dal d. lgs. n. 81/2015.

Cosa succede se il patto viene considerato nullo?

Qualora il lavoratore dovesse impugnare il patto, il giudice potrebbe dichiarare la nullità della clausola per contrasto con la norma imperativa del contratto collettivo applicato. Quindi, la disciplina individuale verrebbe sostituita ex legeda quella della contrattazione collettiva, secondo il disposto dell’art. 1419, c. 2, c.c.

Tuttavia, le utilità erogate quali corrispettivo del patto non risultano definitivamente acquisite al patrimonio del lavoratore. Il pagamento effettuato in base ad un contratto nullo configura un’ipotesi di indebito oggettivo, a cui consegue per il disposto dell’art. 2033 c.c. la ripetibilità di quanto sia stato pagato. Di conseguenza, sarà possibile per il datore di lavoro richiedere al lavoratore la restituzione del compenso erogato quale indennità di prolungamento del preavviso, in quanto pagamento non sorretto da causa debendi.

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