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La Misurazione dell’Orario di Lavoro: la Corte di Giustizia si Pronuncia

Giu 11, 2019

Per quanto complicata o laboriosa, la rilevazione delle presenze in azienda, al di là dello strumento dedicato, determina quasi sempre dilemmi in ordine alla conservazione, obbligatoria o meno, delle timbrature giornaliere effettuate dai nostri lavoratori (con problemi connessi in relazione alla modalità di conservazione dei dati rilevati).

Se un riferimento normativo (probabilmente involontario) appare rilevabile dalla lettura del secondo comma dell’articolo 4 della Legge 300/1970 (così come modificato a cura del d.lgs 151/2015) in relazione alla mancata necessità di una procedura autorizzativa per l’utilizzo di “strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze” (sempre a fronte di adeguata informazione resa ai dipendenti ex art. 4 comma 3), appare comunque discutibile supporre l’esistenza di un obbligo di “conservazione” delle rilevazioni effettuate, non essendo considerabili “documenti” in senso tecnico.

Orbene, forse la recente pronuncia della Corte di Giustizia Europea in merito alla misurazione e rilevazione dell’orario di lavoro (Sentenza C-55/18 emanata il 14 maggio 2019) potrebbe, finalmente, consentire di far chiarezza sul punto.

Il caso di specie vedeva coinvolta, da un lato, un’associazione sindacale spagnola e, dall’altro lato, la società datrice di lavoro. Il sindacato chiedeva, in sostanza, che venisse imposto alla società di avvalersi di un sistema idoneo a registrare l’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun dipendente e che fosse successivamente in grado di informare i rappresentanti sindacali circa le ore di lavoro straordinario svolte.

Dopo un lungo iter avente ad oggetto l’analisi della disciplina spagnola e comunitaria in materia di orario di lavoro, la Corte di Giustizia Europea ha concluso sancendo il dovere, gravante su tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, di “imporre ai datori di lavoro l’obbligo di predisporre un sistema oggettivo, affidabile e accessibile che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore”.

Alla luce di questa sentenza, sarà compito degli Stati membri stabilire le misure e le disposizioni che consentiranno di attuare il principio sancito dalla Corte di Giustizia.

Non solo: l’enunciato della Corte determina, in quanto direttamente applicabile in sede di giudicato, nuove incombenze di natura documentale (e non solo) in relazione alla gestione delle presenze in azienda, ad oggi rimessa unicamente alla relativa parte prevista nel Libro Unico del Lavoro.

Nell’attesa che un auspicato intervento normativo si profili, giova ricordare, sul punto, le peculiarità della disciplina dell’Orario di Lavoro ex d.lgs 66/2003 (norma, ovviamente, di estrazione Europea).

 

DEFINIZIONE DI ORARIO DI LAVORO

Cosa significa orario di lavoro?

È l’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 66/2003 a dettare la definizione di “Orario di lavoro”, disponendo che questo possa definirsi come qualsiasi periodo in cui il lavoratore si trova in una delle seguenti condizioni:

  • sia al lavoro;
  • sia a disposizione del datore di lavoro;
  • sia nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.

Ovviamente con le dovute eccezioni.

A titolo esemplificativo la giurisprudenza, ormai consolidatasi nel tempo, ritiene che la mera reperibilità del lavoratore non sia da considerarsi orario di lavoro in quanto, in tale periodo, il lavoratore può pienamente godere del proprio tempo libero.

Nel momento in cui il lavoratore “reperibile” viene chiamato a prestare la propria attività, questo sarà da considerarsi a tutti gli effetti come orario di lavoro. 

CHI DEFINISCE L'ORARIO DI LAVORO?

Facendo un veloce excursus normativo, l’articolo 3, comma 1, del d.lgs. 66/2003, fissa l’orario normale di lavoro in 40 ore settimanali.

Ampio spazio in materia di orario di lavoro è lasciato inoltre ai contratti collettivi, i quali possono, ai sensi del secondo comma della suddetta norma, stabilire:

  • Una riduzione dell’orario normale di lavoro (ad esempio, 38 ore settimanali);
  • Di riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno (c.d. orario multi periodale).

Si badi bene, però, che l’autonomia attribuita ai contratti collettivi non può in alcun modo scontrarsi con i limiti imposti dalla legge. Il successivo articolo 4, infatti, pone un ulteriore limite, sancendo che la durata media dell’orario di lavoro non può, in ogni caso, superare, per ogni periodo di 7 giorni, le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario.

Tuttavia, il limite massimo delle 48 ore deve calcolarsi, ex art. 4, commi 3 e 4, come media riferibile a un periodo non superiore a 4 mesi, elevabili dalla contrattazione collettiva in 6 mesi o, in caso di ragioni obiettive, tecniche od organizzative, in 12 mesi. 

IL DATORE DI LAVORO PUÒ DISCREZIONALMENTE MODIFICARE L'ORARIO DI LAVORO?

Ovviamente, anche il datore di lavoro può stabilire la distribuzione dell’orario di lavoro purché, nel farlo, rispetti i limiti derivanti dalla legge e dai contratti collettivi.

Nell’esercitare questa facoltà, il datore di lavoro dovrà accordarsi con i lavoratori, prestando particolare attenzione a quelle che sono le esigenze di entrambe le parti.

Con riferimento ai rapporti di lavoro a tempo pieno, si è recentemente pronunciato il Tribunale di Milano, Sez. Lav., con sentenza n. 2787 del 7 novembre 2018. La sentenza ha sposato la tesi, ormai consolidatasi da tempo nella giurisprudenza, secondo la quale:

“In tema di orario di lavoro, i limiti allo ius variandi dell’imprenditore nei contratti di lavoro part-time, nei quali la programmabilità del tempo libero, eventualmente in funzione dello svolgimento di un’ulteriore attività lavorativa, assume carattere essenziale che giustifica l’immodificabilità dell’orario da parte datoriale, non sono estensibili al contratto di lavoro a tempo pieno, nel quale un’eguale tutela del tempo libero del lavoratore si tradurrebbe nella negazione del diritto  dell’imprenditore di organizzare l’attività lavorativa. Deve ritenersi pertanto che, nel rapporto di lavoro full time, il datore di lavoro, nell’esercizio dei poteri organizzativi riconosciutigli dagli artt. 2086, 2094 e 2104 c.c., può modificare, per esigenze dell’impresa, le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa dei dipendenti anche per quanto concerne la distribuzione del lavoro nell’arco della giornata, ancorché con un provvedimento unilaterale espressione dello ius variandi e del potere di organizzazione dell’impresa di cui all’art. 41 della Costituzione” (Trib. Verona, sez. lav., n. 768 del 21.12.2015 e Cass. Lav., 22.01.1987, n. 587).

Rimanendo sempre nell’ambito dei rapporti di lavoro a tempo pieno, si rileva la necessità di dedicare un rapido cenno alla trasformazione del rapporto di lavoro da full time a part-time e, in particolar modo, all’eventuale esistenza di un diritto del lavoratore a veder trasformato il proprio rapporto.

Prima di tutto, giova ricordare che, come richiesto espressamente dalla legge (art. 8, comma 2, D.Lgs. 81/2015), affinché la trasformazione possa considerarsi legittima, le parti devono necessariamente predisporre un accordo risultante da atto scritto.

Come ha da poco rammentato la Corte di Cassazione, infatti, il consenso scritto del lavoratore è essenziale in quanto, la variazione, in aumento o in diminuzione, del monte ore pattuito è una novazione oggettiva dell’accordo negoziale inizialmente concordato che necessita di una rinnovata manifestazione di volontà, non desumibile per facta concludentia dal comportamento successivo delle parti” (Cass. 19 gennaio 2018, n. 1375).

In altre parole, dunque, la scelta di procedere con trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time non può essere adottata unilateralmente dal datore di lavoro.

Esiste, però, un diritto del lavoratore a veder trasformato il proprio rapporto da tempo pieno a tempo parziale?

Una risposta in senso positivo è rilevabile dall’articolo 8, comma 3, del D.Lgs. 81/2015, il quale riconosce questo diritto ai lavoratori “affetti da patologie oncologiche nonché da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti”.

Il lavoratore cui il rapporto è stato trasformato, avrà diritto di “ritornare” a lavorare full time qualora, in un secondo momento, le sue condizioni di salute glielo permetteranno.

LIMITI ALLA DURATA DELL'ORARIO DI LAVORO: CATEGORIE PARTICOLARI

Di fronte ad alcune categorie di lavoratori, la distribuzione dell’orario di lavoro incontra particolari limiti, giustificati proprio in considerazione delle condizioni psico-fisiche di tali lavoratori.

Prendendo prima di tutto a riferimento le lavoratrici in stato di gravidanza, sussiste un divieto espresso di adibirle al lavoro notturno (dalle ore 24 alle ore 6) nel periodo che intercorre dall’accertamento dello stato di gravidanza fino ad un anno di vita del bambino.

A ciò si aggiunga il fatto che la lavoratrice madre (o il lavoratore padre con essa convivente), non può essere obbligata dal datore di lavoro a svolgere lavoro notturno qualora avesse un figlio di età inferiore a 3 anni. Stessa previsione è riferibile alla lavoratrice o al lavoratore quali l’unici genitori affidatari di un figlio convivente che abbia meno di 12 anni e alla lavoratrice, o lavoratore, che abbia a carico un soggetto disabile.

Per quanto riguarda i lavoratori portatori di handicap, invece, le norme vigenti non disciplinano specificamente l’orario di lavoro che questi ultimi possono svolgere. Ad esempio, la legge non impone ai datori di lavoro il divieto di adibire i lavoratori disabili al lavoro notturno.  

Ciononostante, una particolare forma di tutela è riconosciuta anche a questa categoria. I soggetti disabili che abbiano raggiunto la maggiore età, infatti, hanno diritto ai sensi della legge 104/92, ogni mese, a permessi retribuiti, potendo scegliere, alternativamente, tra:

  • 2 ore di permesso giornaliere;
  • 3 giorni di permesso (continuativi o frazionati);

Per quanto concerne i minori di età, la legge distingue tra due categorie:

  • Bambini, intesi come i minori che, alternativamente, hanno meno di 15 anni o, pur avendo più di 15 anni, sono ancora soggetti all’obbligo scolastico (istruzione obbligatoria di almeno 10 anni finalizzata a conseguire un titolo di studio);
  • Adolescenti, intesi come minori che hanno compiuto i 15 anni di età e non sono più soggetti all’obbligo scolastico.

Per gli adolescenti (minori con più di 15 anni ma meno di 18 anni di età, che abbiano assolto all’obbligo scolastico) l’orario di lavoro non può superare le 8 ore giornaliere e le 40 settimanali, mentre per i bambini non può superare le 7 ore giornaliere e le 35 ore settimanali.

Inoltre si rammenta, che per i minori vige l’assoluto divieto di svolgere lavoro notturno (tra le ore 22:00 e le ore 06:00 o tra le ore 23:00 e le ore 07:00), ad eccezione di:

 

  • Bambini addetti ad attività culturali, dello spettacolo, pubblicitarie, sportive, purché entro il limite delle ore 24 e con diritto a riposo compensativo di almeno 14 ore consecutive;
  • Adolescenti, in via eccezionale e per il tempo strettamente necessario, con 16 anni compiuti lo svolgimento di lavoro notturno quando si verifichi un caso di forza maggiore, fatto salvo il diritto del minore alla concessione di periodi equivalenti di riposo compensativo entro 3 settimane.

 

ESEMPI CCNL

Ciò detto, vale la pena riportare, a mero titolo di esempio, le previsioni di alcuni contratti collettivi in materia di orario di lavoro:

CCNL METALMECCANICA – Aziende industriali

L’articolo 5 titolo III conferma la durata massima settimanale in 40 ore.

Per quanto concerne la distribuzione giornaliera dell’orario di lavoro, invece, questa viene stabilita dal datore di lavoro. La possibilità attribuita a quest’ultimo, però, è subordinata ad un previo esame con la Rappresentanza Sindacale Unitaria, che si intenderà esaurito una volta decorsi 10 giorni dalla data dell’incontro indicata nella convocazione.

È ammesso il ricorso all’orario plurisettimanale, la cui durata media è pari a 40 ore settimanali di lavoro ordinario, in un periodo non superiore a 12 mesi, solamente a fronte di ragioni produttive e per un massimo di 80 ore annue, da realizzarsi per l’intera forza, reparti o gruppi di lavoratori, con un massimo di orario settimanale di 48 ore.

Il CCNL, peraltro, mantiene fermo quanto detto precedentemente con riferimento alla reperibilità, sancendo che tale istituto non deve considerarsi come orario di lavoro.

CCNL TERZIARIO – Confcommercio

Certamente più articolata risulta la disciplina dell’orario di lavoro nel CCNL nell’ambito del settore Terziario.

Il primo comma dell’articolo 118, rubricato “Orario normale di lavoro”, riferendosi alla generalità dei lavoratori dipendenti delle aziende commerciali, fissa la durata normale del lavoro effettivo in 40 ore settimanali.

Viene inoltre precisato che: “Per lavoro effettivo si intende ogni lavoro che richiede un’applicazione assidua e continuativa; non sono considerati come lavoro effettivo il tempo per recarsi al posto di lavoro, i riposi intermedi presi sia all’interno che all’esterno dell’azienda, le soste comprese tra l’inizio e la fine dell’orario di lavoro giornaliero.”.

Peraltro, il CCNL si avvale della facoltà, riconosciuta dal suddetto art. 4 del d.lgs. 66/2003 ai contratti collettivi, di elevare il limite dei 4 mesi, stabilendolo in 6 mesi. Alla contrattazione di secondo livello è poi data la possibilità di elevare tale periodo a 12 mesi (esclusivamente, vale la pena ricordarlo, a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro).

È cosa nota che il settore in esame sia fortemente influenzato dai flussi di clientela e di utenza, che possono subire variazioni, in aumento o in diminuzione, nel corso dell’anno.

Proprio in virtù di tale circostanza e delle connaturali esigenze che caratterizzano il settore, l’articolo 121 prevede la possibilità, per l’azienda, di ricorrere alle seguenti forme di articolazione dell’orario settimanale di lavoro:

  1. 40 ore settimanali, mediante la concessione di mezza giornata di riposo in coincidenza con la chiusura infrasettimanale, e per le restanti 4 ore mediante la concessione di un’ulteriore mezza giornata a turno settimanale;
  2. 39 ore settimanali con l’assorbimento di 36 ore di permessi retribuiti;
  3. 38 ore settimanali con l’assorbimento di 72 ore di permessi retribuiti.

Il ricorso alle forme di articolazione dell’orario di cui sopra, però, è subordinato all’espletamento di procedura analiticamente disciplinata dall’articolo 124, il quale dispone che qualora dovesse intervenire una variazione dell’articolazione dell’orario in atto (tra quelle previste al sopra citato art. 121), questa dovrà essere “comunicata almeno 30 giorni prima della sua attivazione, dal datore di lavoro ai dipendenti interessati […], e contestualmente, per iscritto, all’Ente bilaterale territoriale della provincia di competenza […], tramite la corrispondente Associazione territoriale aderente alla Confcommercio ovvero all’Ente bilaterale nazionale per le aziende multilocalizzate”.

CCNL CHIMICA – Aziende industriali

Il CCNL rinvia interamente alle norme di legge.

Per quanto concerne la durata media dell’orario di lavoro, quest’ultima non può superare le 48 ore (comprese quelle di lavoro straordinario) calcolate come media su un periodo pari a 12 mesi (6 mesi per i lavoratori mobili cui si applica il d.lgs. 234/2007).

Il punto C dell’articolo 8 del CCNL disciplina il caso di modifiche apportate all’orario di lavoro già stabilito, prevedendo come, nell’ipotesi in cui il calendario di lavoro dovesse subire delle modifiche e prevedere una distribuzione dell’orario settimanale diversa da quella in atto, le relative modalità attuative saranno oggetto di contrattazione con la R.S.U., con eventuale assistenza delle Strutture territoriali imprenditoriali e di quelle sindacali firmatarie del c.c.n.l. 

 

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