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L’Agenzia delle Entrate ha chiarito, attraverso gli interpelli n. 186/2022 e n. 55/2022, la posizione dei lavoratori che, avendo spostato la propria residenza in Italia, offrono la propria prestazione di lavoro in smart working dal territorio dello Stato in favore di un datore di lavoro con sede estera ai fini della disciplina di cui all’art. 16 del d.lgs. 147/2015, quale “regime impatriati”.
Nello specifico, l’art. 16 del d.lgs. 147/2015 dispone che, i redditi di lavoro dipendente, e a questo assimilati, prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente alternativamente al 30 per cento o al 70 per cento (a seconda del luogo di residenza in Italia) del totale purché siano rispettate determinate condizioni.
I requisiti fondamentali di cui all’art. 16, d.lgs. 147/2015
Si ripercorrono innanzitutto i principali requisiti necessari ai fini di poter fruire dell’agevolazione fiscale di cui all’art. 16 del d.lgs. 147/2015. Nello specifico:
- è richiesto che il soggetto che intende usufruire del beneficio non abbia vissuto nel territorio italiano nei due anni precedenti la domanda;
- il lavoratore deve spostare la propria residenza in Italia, impegnandosi a risiedervi per almeno due anni successivamente al trasferimento;
- il lavoratore si impegna a prestare la propria attività prevalentemente nel territorio italiano.
Appare chiaro, in relazione a quest’ultimo punto, come possa risultare dubbia la posizione del lavoratore smart-worker alle dipendenze di un datore di lavoro estero ai fini del rispetto della condizione di cui sopra, ovvero che l’attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio italiano. È proprio in merito a questo aspetto che si è pronunciata l’Agenzia delle Entrate negli Interpelli n. 55/2022 e n. 186/2022.
La posizione degli smart-worker e l’Interpello n. 147/2015, AdE
La risposta ad interpello n. 186/2022, risulta molto interessante a maggior ragione se la contestualizziamo nel periodo storico attuale, in cui, in forza della situazione pandemica globale, abbiamo assistito ad una sempre maggiore incidenza dello svolgimento di lavoro a distanza.
Nel caso di specie, l’Agenzia si è espressa in merito alla possibilità di riconoscere il beneficio fiscale, di cui all’art. 16 del d.lgs. 147/2015, ad un dirigente occupato presso una Società multinazionale con sede legale a New York e sedi operative in diversi Stati europei, tra cui anche i Paesi Bassi, dove il lavoratore ha risieduto per diversi anni.
A seguito della situazione emergenziale globale, la Società ha offerto al dirigente la possibilità di svolgere la propria attività lavorativa in smart working. Sul punto è bene precisare che il dirigente in questione risulta assunto per attività realizzabili anche a distanza, quali lo svolgimento della mansione di project coordinator fornendo altresì supporto alle varie sedi operative della Società.
Alla luce di ciò, il lavoratore ha deciso di trasferire la propria residenza fiscale in Italia entro il mese di giugno 2022 e chiedeva la possibilità di applicare il beneficio fiscale ex art. 16 del d.lgs. 147/2015.
Innanzitutto, risulta soddisfatto il primo requisito richiesto dal legislatore, relativo al trasferimento della residenza in Italia, nonché l’intenzione del lavoratore di mantenere la propria residenza fiscale sul territorio italiano per almeno due anni.
Permangono dubbi circa la possibilità di considerare l’attività lavorativa come svolta “prevalentemente nel territorio italiano”.
A questo proposito però l’Agenzia, nel fornire una risposta, ricorda come la circolare n. 33/E del 2020, abbia precisato che, ai fini dell’applicazione dell’art. 16 del d.lgs. 147/2015, come modificato dall’art. 5, comma 1, del “Decreto Crescita”, non è richiesto che “l’attività sia svolta per un’impresa operante sul territorio dello Stato; pertanto possono accedere all’agevolazione anche i soggetti che dall’Italia svolgono attività di lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro con sede all’estero, o i cui committenti (in caso di lavoro autonomo o di impresa) siano stranieri (non residenti)”.
L’Agenzia delle Entrate, nella riposta ad interpello n. 186/2022, ricorda inoltre come il requisito di “attività lavorativa prestata prevalentemente in Italia” venga considerato soddisfatto qualora questa risulti prestata nel territorio italiano per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco dell’anno. In questo periodo, tra l’altro, come chiarito nella circolare n. 17/E del 2015 (paragrafo 3.3), vengono computati non solo i giorni lavorativi ma anche le ferie, le festività, i riposi settimanali e altri giorni non lavorativi.
Ciò “non esclude, quindi, che l’accesso al regime speciale per i lavoratori impatriati sia ammesso anche per i lavoratori che trasferiscono la residenza fiscale in Italia per proseguire, in modalità da remoto, l’attività lavorativa resa a beneficio del proprio datore di lavoro estero in virtù di un preesistente contratto di lavoro dipendente (…)”.
Modalità di richiesta e fruizione del beneficio
I lavoratori dipendenti di società estere che siano prive di stabile organizzazione in Italia, le quali pertanto non assumono la qualifica di sostituto di imposta, dovranno fruire del beneficio direttamente in sede di dichiarazione dei redditi, compilando la casella “casi particolari” del quadro C del modello 730 o RC del modello Redditi PF relativo ai redditi per lavoro dipendente e assimilati e indicando il reddito di lavoro dipendente nei righi corrisposti già nella misura ridotta.
Durata e entità del beneficio
L’art. 16 del d.lgs. 147/2015 prevede che il beneficio si applichi a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato e per i quattro periodi successivi. Tale periodo può essere prolungato per ulteriori cinque anni se:
- il lavoratore ha a proprio carico almeno un figlio minorenne;
- il lavoratore diventa “proprietario di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedente al trasferimento”, la quale può essere acquistata direttamente “dal lavoratore oppure dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà”.
In entrambi questi casi, negli ulteriori cinque periodi di imposta, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50 per cento.
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