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Con l’Ordinanza n. 27934/2021, la S.C. ha statuito che è legittima la condotta della Società la quale, esonerando il dipendente dimissionario dal preavviso, non gli aveva corrisposto l’indennità sostitutiva prevista dall’articolo 2118 c.c.

 

Il caso

La controversia origina da un decreto ingiuntivo proposto nei confronti di una Società da un ex dipendente dimessosi, per il pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.

Nei primi gradi di giudizio, la Società era risultata soccombente, avendo ritenuto le Corti di merito che a) la rinuncia al periodo di preavviso a fronte delle dimissioni del lavoratore non esonerasse la Società dal pagamento dell’indennità sostitutiva; b) il lavoratore, nel sottoscrivere “per ricevuta e accettazione” la missiva con la quale la Società gli aveva comunicato di esonerarlo dal preavviso, non aveva espresso alcuna volontà di rinunzia alla relativa indennità; c) la immediata rioccupazione del lavoratore non pregiudicava il diritto dello stesso alla somma oggetto di ingiunzione.

La soluzione della Suprema Corte

Di diverso avviso la Suprema Corte, che accoglie il ricorso della Società attraverso un’articolata disamina dell’istituto del preavviso.

Funzione dell’istituto del preavviso – comune alla maggior parte dei contratti di durata a tempo indeterminato – è attenuare per la parte che subisce il recesso le conseguenze pregiudizievoli della cessazione del contratto.

Nel rapporto di lavoro tale funzione varia in considerazione della parte non recedente. In caso di licenziamento il preavviso ha la funzione di garantire al lavoratore la percezione della retribuzione per un lasso di tempo, al fine di consentirgli il reperimento di una nuova occupazione. In caso di dimissioni del lavoratore, il preavviso ha la finalità di assicurare al datore di lavoro il tempo necessario ad operare la sostituzione del lavoratore recedente.

E quindi, ove la parte che recede ometta di rispettare il termine di preavviso, dovrà corrispondere a quella non recedente la relativa indennità risarcitoria, volta a compensare le conseguenze pregiudizievoli derivanti dal mancato svolgimento della prestazione lavorativa.

Osserva la S.C. come il tema della rinunziabilità del periodo di preavviso da parte del soggetto non recedente e delle conseguenze giuridiche di tale rinunzia è strettamente connesso e condizionato dalla soluzione che si intende dare alla questione circa la efficacia reale o obbligatoria del preavviso.

La teoria dell’efficacia reale postula, infatti, che il rapporto di lavoro prosegua fino alla scadenza del relativo periodo, per cui non è possibile ipotizzare una rinuncia della parte non recedente idonea a determinare la immediata estinzione del rapporto di lavoro. Diversamente, ove si aderisca alla tesi dell’efficacia obbligatoria del preavviso, la parte recedente può optare tra la prosecuzione del rapporto durante il periodo di preavviso e la corresponsione alla controparte dell’indennità sostitutiva, con immediata risoluzione del rapporto. Così opinando, quindi, in capo alla parte non recedente si configura un diritto di credito liberamente rinunciabile.

È noto che oramai l’orientamento unanime della giurisprudenza concorda sulla natura obbligatoria del preavviso. Da ciò discende che la parte non recedente, la quale abbia rinunciato allo svolgimento del preavviso, nulla debba alla controparte. Come, d’altro canto, il recedente non può vantare alcun diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino a termine del preavviso, essendo privo di alcun interesse giuridicamente qualificato.

Riassumendo, il datore di lavoro può rinunciare al preavviso dovutogli, determinando l’immediata estinzione del rapporto senza dovere alcunché al lavoratore dimissionario.

Alcune considerazioni

L’iter motivazionale seguito suscita alcune riflessioni.

In primo luogo, la possibilità di rinunciare al preavviso senza corrispondere alcunché al dimissionario appare non scontata. Infatti, un conto è se il lavoratore rassegna le dimissioni senza rispettare il preavviso e, quindi, il datore di lavoro rinuncia al credito relativo all’indennità sostitutiva (surrettiziamente rinunciando al preavviso stesso). Operazione, questa, che appare del tutto legittima e nella libera disponibilità delle parti. Altro discorso invece è se il lavoratore rassegna le dimissioni prevedendo un preavviso lavorato, per cui la rinuncia da parte datoriale al termine costituisce anche una rinuncia alla prestazione del dipendente col rischio di messa in mora.

Si ricorda, inoltre, che in simili frangenti dovrà tenersi conto anche delle pertinenti statuizioni della contrattazione collettiva. Ad esempio, il C.c.n.l. Terziario – Confcommercio dispone che «su richiesta del dimissionario, il datore di lavoro può rinunciare al preavviso, facendo in tal caso cessare subito il rapporto di lavoro. Ove invece il datore di lavoro intenda di sua iniziativa far cessare il rapporto prima della scadenza del preavviso, ne avrà facoltà, ma dovrà corrispondere al lavoratore l’indennità sostitutiva nelle misure di cui al comma precedente per il periodo di anticipata risoluzione del rapporto di lavoro». In simili casi, quindi, appare chiarissima l’inapplicabilità dell’orientamento esplicitato dalla Cassazione nella sentenza in commento.

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