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Punti di attenzione

Durata del contratto a termine
La legge n. 96/2018 ha ridotto la durata massima dei contratti a tempo determinato a n. 24 mesi, che pertanto oggi sostituiscono i 36 mesi previsti dalle precedente disposizione di legge.
Durante questi 24 mesi, possiamo distinguere due periodi:
– I primi 12 mesi. Durante questo periodo non è necessario apporre al contratto una causale di lavoro, purché non si tratti di rinnovo contrattuale.
– Successivi 12 mesi. Il contratto (e / o il suo rinnovo o proroga) deve necessariamente essere collegato ad una esigenza specifica – che deve essere indicata per iscritto nel contratto.
Re - Introduzione delle causali di lavoro
Il decreto n. 96/2018, ha reintrodotto le causali di lavoro – giustificazioni necessarie per la sottoscrizione valida dei contratti a termine.
Le causali possibili sono tassativamente indicate dalla legge, all’art 19 co. 1 del D.Lgs 81/2018. Ovvero:
– Esigenze temporanee e oggettive, non correlate alle attività ordinarie;
– Esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
– Esigenze connesse ad aumenti temporanei, significativi e non programmabili nelle attività ordinarie.
Proroghe e rinnovi
La Legge n. 96/2018, riduce il numero di proroghe a 4, rispetto a 5 introdotte nel 2015 dal Jobs Act, ed introduce l’obbligo di inserire una causale in occasione di ciascun rinnovo del contratto a termine anche se disposto nei primi dodici mesi del rapporto lavorativo.

Come cambiano i contratti a termine in Italia – L.n. 96/2018

da | Dic 3, 2018 | Amministrazione del Personale, Editoriale

Durante l’estate 2018, datori di lavoro italiani e stranieri, che svolgono la propria attività in Italia, sono stati molto indaffarati nella gestione ed applicazione delle nuove disposizioni di legge concernenti i contratti a tempo determinato.
Una breve panoramica risulta essenziale:
– lo scorso 13 luglio 2018, il Governo Italiano ha pubblicato il Decreto n. 87/2018 “Decreto Dignità”, entrato in vigore il 14.07.2018. Tale testo di legge ha introdotto variazioni radicali circa le regole di applicazione dei contratti a tempo determinato.
– Successivamente in data 11 agosto 2018, è stata pubblicata la legge di conversione del succitato decreto, legge n. 96/2018, entrata in vigore il 12.08.2018. Questo secondo intervento normativo ha previsto, l’introduzione di un periodo transitorio, posticipando l’effettiva applicazione delle modifiche normative al 1 novembre scorso, consentendo ai datori di lavoro ed alle imprese un margine temporale (dal 12 agosto al 31 ottobre) per adeguarsi alle variazioni.

Principali argomenti modificati dalla legge:
1. Durata del contratto a termine
2. (Re) Introduzione delle causali di lavoro
3. Proroga e rinnovi

Durata del contratto a termine
La legge n. 96/2018 ha ridotto la durata massima dei contratti a tempo determinato a n. 24 mesi, che pertanto oggi sostituiscono i 36 mesi previsti dalle precedente disposizione di legge.
Durante questi 24 mesi, possiamo distinguere due periodi:
– I primi 12 mesi. Durante questo periodo non è necessario apporre al contratto una causale di lavoro, purché non si tratti di rinnovo contrattuale.
– Successivi 12 mesi. Il contratto (e / o il suo rinnovo o proroga) deve necessariamente essere collegato ad una esigenza specifica – che deve essere indicata per iscritto nel contratto.
I contratti temporanei di durata superiore a 12 mesi, che non riportino per iscritto una delle causali indicate dalla legge, sono sanzionati con la conversione in contratti a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di 12 mesi.
Precisamente, ai fini del computo dei 24 mesi, si considera la durata dei contratti a termine intercorsi tra le medesime parti (stesso datore di lavoro e stesso lavoratore) per lo svolgimento delle medesime mansioni di pari livello e categoria legale ed indipendentemente dalle interruzioni eventualmente intercorse tra un contratto e l’altro. Peraltro, nel computo sono considerati anche i periodi di missione (somministrazione a tempo determinato) svolti tra i medesimi soggetti.
La norma fa salve eventuali diverse disposizioni a tal proposito previste dai singoli contratti collettivi ed i contratti di lavoro stagionali.

Causali di lavoro
Il decreto n. 96/2018, ha reintrodotto le causali di lavoro – giustificazioni necessarie per la sottoscrizione valida dei contratti a termine.
Le causali possibili sono tassativamente indicate dalla legge, all’art 19 co. 1 del D.Lgs 81/2018. Ovvero:
– Esigenze temporanee e oggettive, non correlate alle attività ordinarie;
– Esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
– Esigenze connesse ad aumenti temporanei, significativi e non programmabili nelle attività ordinarie.
La causale addotta deve risultare per iscritto dal contratto e deve sussistere durante il periodo di validità del contratto ed al termine dello stesso.

Proroga e rinnovi
Il Decreto Dignità ha ridotto il numero delle proroghe da 5 a 4. Anche in questo caso è opportuno effettuare la seguente distinzione:
– durante i primi 12 mesi, il contratto di lavoro può essere prorogato liberamente, senza necessaria apposizione di una causale;
– successivamente, il contratto può essere prorogato ma è necessaria l’apposizione di una causale.
La proroga può essere disposta dal datore di lavoro, purché ci sia il consenso del lavoratore.
Per proroga si intende una estensione dell’originario periodo contrattuale.

Altra disposizione che in un certo senso prolunga l’attività lavorativa del lavoratore è il rinnovo del contratto, ovvero la stipula di un nuovo contratto staccato dal primo ma sottoscritto tra le stesse parti ed avente i medesimi contenuti essenziali (mansione, livello, sede lavorativa ecc…).
Il rinnovo del contratto richiede sempre l’inserimento di una causale.

Ne deriva una importante distinzione:
– Proroga: quando disposta durante i primi 12 mesi non necessita mai dell’inserimento di una causale. Dopo i primi 12 mesi invece la causale è obbligatoria;
– Rinnovo contrattuale: l’inserimento della causale è sempre necessario.
Esempio:
– 1° contratto di durata pari a 6 mesi:
a. La proroga del contratto non necessita dell’inserimento di una causale;
b. Il rinnovo dello stesso contratto, anche se il contratto in questione è di durata inferiore a 12 mesi, è soggetto all’inserimento di una causale.

L’inosservanza di questa disposizione, è sanzionata con la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato – nel caso di proroga del contratto la norma precisa che la conversione opera a partire dalla data della quinta proroga (non più la sesta).
A questo proposito è importante segnalare anche che la legge n. 96/2018 determina anche un aumento dei costi del lavoro sostenuti dai datori di lavoro. Già nel 2012, il Governo in forza aveva introdotto (art. 2, paragrafo 28, Legge 92/2012) un contributo cd “aggiuntivo” pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali dei lavoratori assunti con contratto diverso da quello tempo indeterminato – contributo a finanziamento della NASPI(fondo di disoccupazione previsto dal sistema assicurativo italiano), aggiuntivo rispetto alla consueta contribuzione già a carico del datore di lavoro.
Oggi, l’attuale disposizione normativa, si prevede un aumento del contributo aggiuntivo succitato di un ulteriore 0,5% in occasione di “ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione”.
Esempio:
Primo contratto: contributo aggiuntivo 1,4%; 1° rinnovo 1,9%, 2° rinnovo 2,4% e così discorrendo fino al termine di durata massima di 24 mesi.

I contratti a termine di tipo stagionale e i contratti a termine sottoscritti con causale sostitutiva sono esenti dall’applicazione del contributo aggiuntivo sopra rappresentato.

La l.n. 96/2018, è intervenuta anche sui termini di impugnazione del contratto a termine, prevedendone l’estensione da 120 a 180 giorni dalla risoluzione del contratto individuale. Ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. 81/2015 il giudice condanna il datore al risarcimento del danno al lavoratore stabilendo una indennità onnicomprensiva tra un minimo di 6 mensilità (in luogo delle 4 precedenti) e un massimo di 36 mensilità (in luogo delle precedenti 24), dell’ultima retribuzione utilizzata per il calcolo del trattamento di fine rapporto (TFR).

 

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