+39 049 7968508, +39 049 7423321 info@ceccatotormen.com

Compenso agli Amministratori Stranieri. Trattamento Fiscale e Contributivo

Mar 26, 2019

A prescindere dalle dimensioni, nel corso dell’attività lavorativa tutte le società si trovano a corrispondere dei compensi ai propri amministratori.

Di seguito non saranno affrontate le conosciute tematiche connesse all’individuazione dal punto di vista giuridico degli amministratori, della legittimazione dell’attività svolta ed in generale degli elementi formali a livello societario che li caratterizzano, e la definizione dal punto di vista civilistico.

L’obiettivo del presente articolo è bensì fornire poche chiare linee guida sul trattamento fiscale e contributivo dei loro compensi anche in considerazione delle disposizioni europee.

L’attività dell’amministratore è riconducibile a diverse tipologie di attività lavorativa: ben potrebbe assumere le vesti del lavoro autonomo o, diversamente, rientrare nell’alveo delle c.d. para-subordinazioni (principalmente nella forma della collaborazione coordinata e continuativa).

La scelta tra pura autonomia o para-subordinazione determinerà le “regole del gioco”.

Trattamento previdenziale 

Un amministratore attratto nell’ambito del rapporto di lavoro autonomo corrisponderà la prescritta contribuzione alla propria cassa previdenziale, individuata per la sua specifica professione dall’ordine a cui lo stesso è iscritto.

Al contrario un amministratore, considerato parasubordinato, dovrà essere iscritto alla c.d. Gestione Separata istituita presso l’INPS in applicazione dell’aliquota contributiva annualmente modificata.

Trattamento fiscale

Il compenso dell’amministratore percepito nell’ambito di un rapporto di lavoro autonomo concorrerà alla formazione del reddito prodotto dal soggetto nell’ambito della sua attività autonoma e, pertanto, le imposte saranno definite a seconda della gestione fiscale in cui lo stesso rientra.

Diversamente il compenso percepito nell’ambito di una collaborazione è tendenzialmente assimilato al reddito cd da lavoro dipendente.

A tal proposito l’art. 50 del TUIR al comma c-bis) annovera fra le altre anche le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti, per attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto senza vincolo di subordinazione.
Quanto prima precisato, tra le altre cose, risulta ancor più significativo allorquando si volesse valutare l’applicabilità di sistemi di welfare aziendale in favore dei nostri amministratori parasubordinati i quali potrebbero, come già precisato dalla risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate all’interpello n°954-1417/2016, beneficiarvi.

Nel merito, l’Agenzia ha precisato nuovamente che le politiche di welfare debbano essere rivolte ad una “categoria di dipendenti”. Tale espressione, non va intesa limitatamente alle categorie previste nel codice civile (dirigenti, operai etc.), ma a tutti i dipendenti di un certo tipo (ad esempio, tutti i dipendenti di un certo livello o di una certa qualifica oppure tutti gli operai del turno di notte), purché l’inquadramento sia sufficiente a impedire la concessione di erogazioni ad personam in esenzione da imposte.

Ed è proprio in applicazione di tale interpretazione che l’Agenzia ritiene che la partecipazione al Consiglio di Amministrazione non “faccia venir meno la circostanza che l’offerta sia rivolta alla generalità dei dipendenti” e che pertanto possano trovare applicazione l previsioni di esclusione del reddito da lavoro dipendente di cui all’art 51 comma 2 nella sue successive declinazioni.

AMMINISTRATORE NON RESIDENTE: TRATTAMENTO FISCALE

La questione è ulteriormente diversa allorquando l’amministratore non è un soggetto residente.

Trattamento fiscale

In questo caso il riferimento è l’art 23 TUIR che evidenzia la rilevanza del luogo di produzione del reddito: “si considerano prodotti nel territorio dello Stato, se corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti:….i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente….”.

Soprattutto, quello che deve innanzitutto trovare riscontro è: chi ha erogato il compenso?

Se ad erogare il compenso al non residente è un soggetto nazionale, l’imposta risulterebbe dovuta in Italia a prescindere dal fatto che le prestazioni siano materialmente effettuate nel territorio nazionale, o all’estero.

Per le modalità e l’entità della tassazione si rinvia all’articolo 24, comma 1-ter del DPR n. 600 del 1973, che prevede, sui redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa corrisposti a non residenti, una ritenuta a titolo d’imposta del 30%. A tal proposito si precisa che le convenzioni potrebbero anche prevedere il pagamento di un imposta progressiva.

Tali disposizioni nazionali vanno sempre lette congiuntamente alle c.d. convenzioni contro la doppia imposizione fiscale, laddove presenti, sottoscritte tra gli stati coinvolti (stato di residenza e di lavoro).

 

AMMINISTRATORE NON RESIDENTE: TRATTAMENTO PREVIDENZIALE

La relazione tra gli stati incide anche nell’identificazione del trattamento previdenziale del compenso in capo all’amministratore stesso.

Sul tema, non possiamo prescindere dal considerare le indicazioni comunitarie (in particolare il Reg. 883/2004) e nazionali (in particolare contenute operativamente nelle circolari dell’INPS).

In generale la regolamentazione comunitaria prevede disposizioni per la determinazione della legislazione applicabile ai lavoratori dipendenti o autonomi, non disciplinando nulla per le figure di lavoratori regolate dalle legislazioni nazionali, con particolare riferimento ai lavoratori iscritti alla gestione separata. Da qui la necessità (come enunciato con sentenza n. 221 del 1995 della Corte di Giustizia Europea) di assimilare questa categoria alternativamente ai lavoratori dipendenti oppure ai lavoratori autonomi.

A riguardo, la Corte di Giustizia ha chiarito che la natura dell’attività esercitata in ciascuno Stato deve essere valutata in funzione delle disposizioni previdenziali dello Stato membro nel cui territorio l’attività è esercitata e non già in funzione della nozione che ne viene data secondo le disposizioni giuslavoristiche (nozioni legate all’esistenza o meno del vincolo di subordinazione).

In particolare l’INPS distingue gli iscritti alla gestione separata, dal punto di vista previdenziale, come segue:

– fra i lavoratori dipendenti annovera le seguenti categorie:

Collaboratore coordinato e continuativo
Collaborazioni coordinate e continuative presso la Pubblica Amministrazione
Associato in partecipazione con apporto di solo lavoro
Volontari del servizio civile

– fra i lavoratori autonomi, annovera le seguenti:

Amministratore, sindaco, revisore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica, liquidatore di società
Rapporti occasionali autonomi 
Tutti i liberi professionisti per i quali non è prevista alcuna Cassa previdenziale obbligatoria.

E’ necessario in questi casi soprattutto chiedersi se l’amministratore svolge attività lavorativa presso altri stati.

Nello specifico caso dell’amministratore straniero, supponendo che lo stesso svolga la medesima attività anche in uno stato estero, bisogna altresì verificare in che modo è considerata quella stessa attività in tale stato giacchè la medesima attività potrebbe, astrattamente, essere considerata autonoma in Italia e subordinata altrove, e viceversa.

Queste ipotesi sono generalmente risolte dai regolamenti Europei e dalle cd Tie Breaker Rules.

Si riportano di seguito alcune ipotesi a titolo esemplificativo:

– soggetto che esercita abitualmente un’attività lavorativa subordinata e un’attività autonoma in vari Stati membri. In questo prevale la legislazione dello Stato membro in cui esercita l’attività subordinata (articolo 13 regolamento 883/2004). 

– soggetto che esercita un’attività lavorativa autonoma in uno Stato membro e un’attività subordinata in due o più Stati membri. In questo caso prevale la legislazione dello stato di esercizio abituale di un’attività subordinata (art 13 regolamento 883/2004).

CASO DEI REVERSIBILI

I compensi reversibili sono una eccezione alla regola dell’assoggettamento ad IRPEF dei compensi.

Si tratta dei compensi che per accordo delle parti (amministratore e datore di lavoro) sono direttamente riversati al datore di lavoro, non transitando nemmeno incidentalmente nel possesso (art 1140 c.c.) dell’amministratore.

In tali casi la legge prevede espressamente che indennità e compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità, ad esclusione di quelli che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro e di quelli che per legge devono essere riversati allo Stato (art 50 co. 1 lett. b)).

La ratio di questa disposizione è quella di chiarire che questi redditi debbano essere imputati direttamente al soggetto a cui per legge o per clausola contrattuale devono essere riversati – gli stessi non possono essere di conseguenza né annoverati tra i redditi di lavoro dipendente (C.M. Ministero delle Finanze n. 326/E 1997).

Come ribadito anche dalla commissione tributaria di Milano (sentenza n. 6357 del 2017) un compenso reversibile non integra il requisito del possesso (ex art 1 TUIR), in quanto quest’ultimo confluisce direttamente nel possesso della società estera e pertanto direttamente nella sfera di imposizione fiscale della stessa.

Ti sono rimasti dei dubbi sull'argomento?

Contatta i nostri consulenti per avere le risposte.