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Conteggio dei Tempi Determinati. Teste o FTE?

Mar 12, 2019

Spesso nella gestione delle politiche di ingresso, ci chiediamo quanti rapporti a termine possiamo instaurare e quali limiti contrattuali o normativi utilizzare.

A volte si tratta solamente di un mero esercizio matematico e di moltiplicazione di fattori, in altri casi, la verifica deve essere effettuata in modo più approfondito.
Pensiamo alle aziende multi localizzate, con diverse unità produttive, nelle quali è legittimo chiedersi se il conteggio dei lavoratori a tempo determinato debba essere effettuato per ogni filiale ovvero a livello aziendale.

Oppure si pensi alle società in cui la presenza di personale part time è elevata e nelle quali la valutazione “per teste” o in ragione dell’orario di lavoro effettivo comporta delle conseguenze non indifferenti.
A ciò si aggiunga come spesso, nella miriade di contratti collettivi, i limiti di contingentamento sono strutturati in modo diverso, proprio per adeguarsi alle esigenze di settore, ad esempio facendo riferimento all’organico medio annuale ovvero al dato puntuale al momento dell’assunzione.

Proprio su questi punti alcune recenti sentenze della Corte di Cassazione (n. 753/2018 e 20357/2018) hanno fatto chiarezza sulle modalità di calcolo dei limiti di contingentamento, adottando alcune preziose linee guida.

LA DISPOSIZIONE NORMATIVA

L’art. 23 del d.lgs. 81/2015 prevede che “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi non possono essere assunti lavoratori a tempo determinato in misura superiore al 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione, con un arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5. Nel caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento dell’assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato”.

Banalmente, la norma prevede un limite aziendale e non riferito alla singola unità produttiva, pari al 20% dei lavoratori a tempo indeterminato in forza ad una certa data (1 gennaio dell’anno).

Limite che può essere rivisto in ogni sua parte dalla contrattazione collettiva, anche aziendale.

Sul punto, si prenda ad esempio il contratto collettivo del settore Terziario Confcommercio, il quale prevede che “l’utilizzo complessivo di tutte le tipologie di contratto a tempo determinato non potrà superare il 20% annuo dell’organico a tempo indeterminato in forza nell’unità produttiva”. Quindi un computo collegato alla singola unità produttiva e verificato annualmente sull’organico a tempo indeterminato.

Altro esempio è quello del settore della Chimica Industria, nella quale si prevede un limite “al numero di lavoratori occupati nell’impresa o nell’unità produttiva con contratto a tempo determinato che non può superare, in media annua, il limite del 20% dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione a termine da effettuare. L’eventuale frazione di unità derivante dal rapporto percentuale di cui sopra è arrotondata all’unità intera superiore e nei casi in cui il rapporto percentuale dia un numero inferiore a 10, resta ferma la possibilità di costituire sino a 10 contratti a termine”. Quindi un limite di contingentamento ambivalente (a livello aziendale o di unità produttiva), ma calcolato come media annuale rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato al 1° gennaio dell’anno di assunzione.

LA RECENTE GIURISPRUDENZA

La Corte di Cassazione, nelle sentenze citate in premessa che fanno riferimento all’allora vigente disciplina del d.lgs. 368/2001, affronta il tema della verifica delle clausole di contingentamento legali, con specifico riferimento al tema del calcolo della numerosità dei tempi indeterminati e determinati, in presenza di lavoratori a tempo parziale.

Nello specifico, la Sentenza afferma come “il raffronto tra i lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato, deve essere effettuato su base omogenea, verificando il rispetto della percentuale di contingentamento sia secondo il criterio del “full time equivalent” sia secondo quelle “per teste”. Questo tanto per la verifica dell’organico aziendale che per il numero dei lavoratori a termine”.

Aveva infatti erroneamente applicato i limiti di legge. La Sentenza della Corte di Appello di Venezia, la quale si fondava sull’applicazione di un doppio criterio, il primo sulla base del principio del “full time equivalent” per determinare l’organico ed un secondo “per teste” per determinare gli assunti a termine.

La Cassazione afferma come “in tale modo si realizza un raffronto irrazionale per disomogeneità dei parametri di commisurazione delle due grandezze e non coerente con la formulazione letterale della norma che è quella di garantire una adeguata proporzione tra due specifiche tipologie contrattuali”.

QUALI SANZIONI E QUALI RIMEDI?

Lo stesso art. 23, del d.lgs. 81/2015, al comma 4, prevede che in caso di violazione del limite percentuale di cui al comma 1, restando esclusa la trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato, per ciascun lavoratore si applica una sanzione amministrativa di importo pari:

a) al 20 % della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non è superiore a uno;
b) al 50 % della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale è superiore a uno.

Il legislatore, pertanto, intende sanzionare l’irregolarità del datore di lavoro non tanto con la conversione del rapporto di lavoro instaurato oltre il limite previsto, quanto con una sanzione pecuniaria di rilevante valore, che può arrivare al 50 % della retribuzione mensile del lavoratore assunto oltre i limiti percentuali.

Sul punto è doveroso un chiarimento.

L’art. 16, della l. 689/91 in merito di illeciti amministrativi, afferma come “E’ ammesso il pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa, o, se più favorevole e qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale, pari al doppio del relativo importo, entro il termine di sessanta giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione.”

Pertanto, in caso di accesso ispettivo, sicuramente l’ispettore eleverà una sanzione commisurata alla retribuzione del lavoratore, così come previsto in precedenza, ma lo stesso datore di lavoro sarà ammesso al pagamento della stessa in misura ridotta, pari a 1/3 della sanzione stessa, qualora effettui il pagamento nei successivi 60 giorni.

Come a dire che la sanzione nella sua misura massima, 50% della retribuzione, sarà ridotta al 16,66% (1/3 del 50%) proprio in ragione dell’art. 16 della l. 689/91, qualora si effettui il pagamento immediato.

 

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