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È possibile premiare i lavoratori con il Welfare?

Giu 25, 2019

Lo strumento del Welfare Aziendale, oggetto negli ultimi anni di modifiche apportate dal legislatore con lo scopo di migliorare il work-life balance, permette di gratificare i lavoratori attraverso l’offerta di servizi e prestazioni finalizzati al miglioramento del benessere dei propri collaboratori, nella sempre eterna ricerca di un equilibrio tra costi e benefici (o, se si vuole, a quasi parità di costo-lordo netto per l’impresa).

In questo periodo storico di costante calo del Welfare State, il legislatore ha ben pensato di incentivare le aziende stesse ad offrire dei servizi, beni e opere, di carattere “assistenziale”, a favore dei propri dipendenti e dei loro familiari escludendo tale valore dal reddito di lavoro dipendente.

Nonostante il significativo aumento nell’utilizzo di tale strumento da parte delle medie/grandi imprese per premiare e fidelizzare i propri lavoratori, ci troviamo però di fronte a fenomeni di applicazione pratica alquanto spregiudicati, complice anche una situazione fiscale spesso oggetto di interpelli ad hoc piuttosto che di un disegno organizzato.

Chiariamo un punto. C’è chi utilizza il welfare aziendale con un obiettivo di saving o meglio massimizzare il percepito del lavoratore e costi sostenuti dall’impresa e chi, invece, utilizza lo strumento del welfare per orientare i comportamenti dei lavoratori.

Oggi parliamo dei primi. Quelli che vogliono premiare i propri lavoratori con beni e servizi. Ma si può fare senza sindacato?

ANALISI DELLA NORMATIVA DI RIFERIMENTO

In Italia manca una disciplina che si occupi di regolamentare in modo organico la materia. Le poche norme dedicate a questo tema si trovano sparse nel T.U.I.R., in disposizioni che trattano temi assai più ampi ed eterogenei.

Per tale motivo vi sono ancora molte aziende restie a utilizzare questa forma di “premialità”, permanendo confusione sull’argomento.

Non confondiamo, però, il salario detassabile con il welfare premiale.

Il primo rappresenta una forma di premialità concordata con le OO.SS. finalizzata a garantire ai lavoratori, oggetto del premio di risultato, un valore economico collegato al raggiungimento di alcuni indicatori aziendali incrementali.

Quindi si tratta di un premio economico regolamentato da accordo, che necessita di alcune specifiche caratteristiche (incrementalità) per poter essere sottoposto a prelievo fiscale leggero (c.d. detassazione al 10% sostitutiva dell’irpef e delle addizionali regionali e comunali). I vantaggi per l’azienda non sono diretti, salvo che per la felicità del lavoratore che ha ricevuto un netto più elevato.

Tale premio, sottoposto alla c.d. detassazione, potenzialmente è anche convertibile in welfare, ma solamente su richiesta del lavoratore e previa pattuizione sindacale a riguardo (che in questo caso, per il c.d. “change”, è necessaria).

Il welfare come premialità, invece, è scollegato dalle “fantasiose” regole fiscali sulla tassazione agevolata, rimanendo esclusivamente aderente al dettato degli artt. 49 e 51 del T.U.I.R., secondo cui “tutto ciò che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore dipendente (in denaro e/o in natura), concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente” ed è pertanto assoggettato ad imposta.

Ma vi sono alcune “deroghe” a tale principio di onnicomprensività le quali sono previste dall’art. 51 del T.U.I.R. per alcune tipologie di spese espressamente tipizzate dalla legge.

 

BENI E SERVIZI OGGETTO DEL WELFARE AZIENDALE

Vediamo in sintesi quali sono i servizi e le prestazioni che non concorrono a formare il reddito, e che pertanto possono essere offerte in un sistema di Welfare nonché le particolarità di ciascuno di essi al fine di comprenderne la portata.

ASSISTENZA SANITARIA INTEGRATIVA: i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro a enti o casse con finalità assistenziale ( art. 51 T.U.I.R., co. 2, lett. a)). 

Ai fini dell’esenzione deve essere versato un CONTRIBUTO e non deve essere effettuato un mero rimborso del ticket sanitario presentato dal dipendente.

  • Per l’azienda vige il limite massimo di versamento annuale pari a 3.615,20 € (comprensivo della parte eventualmente a carico del lavoratore). Inoltre è previsto un onere aggiuntivo pari al 10% a titolo di contributo di solidarietà;
  • Per il lavoratore la copertura sanitaria comporta la non detraibilità per le spese direttamente rimborsate dall’ente o dalla cassa.

TICKET RESTAURANT: le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro fino all’importo complessivo giornaliero di euro 5,29, aumentato a euro 7 nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica ( art. 51 T.U.I.R., co. 2, lett. c)).

Anche i buoni pasto rientrano nella categoria del Welfare aziendale in quanto azioni volte a migliore il benessere del personale impiegato.

Sono alternativi al servizio di mensa messo a disposizione dall’azienda e ai fini dell’esenzione devono essere corrisposti per i giorni di effettiva prestazione.

 

TRASPORTO COLLETTIVO: le prestazioni di servizi di trasporto collettivo alla generalità o a categorie di dipendenti, anche se affidate a terzi ivi compresi gli esercenti servizi pubblici (art. 51 TUIR, co. 2, lett. d));

 

ONERI DI UTILITA’ SOCIALE: l’utilizzazione, da parte dei lavoratori e dei familiari di opere e servizi di cui al comma 1 dell’articolo 100 (art. 51 TUIR, co. 2, lett. f)) per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.

Qui ci si può sbizzarrire nella scelta dei servizi offerti, anche in considerazione della popolazione aziendale. A titolo esemplificativo non esaustivo possono prevedersi abbonamenti presso impianti sportivi, piscine, teatro, cinema, corsi di lingua, musica, arte, abbonamento per la squadra del cuore, pacchetti viaggio e così via.

Ai fini dell’esenzione deve stipularsi una convenzione direttamente con la struttura erogatrice del servizio prescelto e non un mero rimborso al dipendente delle spese sostenute.

 

ASILIO NIDO E SPESE SCOLASTICHE: le somme, i servizi erogati dal datore di lavoro di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio a favore dei familiari (art. 51 TUIR, co. 2, lett. f-bis).

Qui la normativa parla anche di SOMME pertanto è possibile rimborsare direttamente al lavoratore le spese sostenute a favore dei propri figli per la frequenza di strutture di istruzione, servizi accessori quali trasporto o mensa nonché centri estivi.

Dovrà essere presentata apposita documentazione a supporto delle spese sostenute e conservata per almeno n°5 anni dal rimborso.

Chiaramente tali somme non potranno essere portate in detrazione dal dipendente nel modello 730.

 

ASSISTENZA DOMICILIARE: le somme e le prestazioni erogate dal datore di lavoro ai dipendenti per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti (art. 51 TUIR, co. 2, lett. f-ter).

Anche qui si tratta di SOMME pertanto è possibile procedere al rimborso delle spese sostenute dal lavoratore per la cura del familiare non autosufficiente (come definito dalla circolare dell’AdE n. 2/E del 2005) oppure anziano da intendersi over 75 (limite di età considerato ai fini del riconoscimento di una maggiore detrazione d’imposta dall’articolo 13, comma 4, del TUIR).

Dovrà essere presentata apposita documentazione a supporto delle spese e conservata per 5 anni dal rimborso.

Tali somme non potranno essere portate in detrazione dal dipendente nel modello 730.

 

LONG TIME CARE: i contributi e i premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana o aventi per oggetto il rischio di gravi patologie ( art. 51 TUIR, co. 2, lett. f-quater)).

 

CONTRIBUTI ALLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: i contributi versati dal datore di lavoro a favore dei dipendenti alle forme pensionistiche complementari ( art. 51 TUIR, co. 2, lett. h)) nel limite di versamento annuo pari a 5.164 euro.

Per l’azienda è prevista, oltre all’esenzione del contributo previdenziale, la deducibilità ai fini IRES dell’importo versato a FPC.

Dall’altro lato è previsto un onere aggiuntivo pari al 10% a titolo di contributo di solidarietà.

 

MUTUI E FINANZIAMENTI: concessione di mutui e finanziamenti erogati ai lavoratori a tasso agevolato per far fronte a specifici investimenti o acquisti quali la prima e/o seconda casa, le spese di ristrutturazione; l’acquisto dell’autovettura, ecc. (art. 51 TUIR, co. 4).

L’ambito di applicazione comprende l’erogazione diretta del contributo aziendale sul conto corrente che il dipendente mutuatario ha dedicato al pagamento del mutuo al fine di riconoscere la liquidazione degli INTERESSI MATURATI.

Il rimborso sarà attinente alla sola quota di interessi e non del capitale, dovrà essere presentata apposita documentazione a supporto delle spese e conservata per 5 anni.

Tali somme non potranno essere portate in detrazione dal dipendente nel modello 730.

 

CESSIONE DI BENI: il valore dei beni ceduti e i servizi prestati se di importo non superiore nel periodo d’imposta ad euro 258,23 (art. 51 TUIR, co. 3).

Tali beni sono i c.d. “ticket compliments” ovvero quella liberalità di beni erogati al dipendente che non devono superare il limite annuo di 258,23 euro. Si tratta dei classici buoni benzina, buoni spesa, buoni amazon, o comunque tutte quelle tessere/voucher rappresentativi di beni o servizi e non convertibili in denaro.

Attenzione perché a tale limite concorrono tutti i beni in natura concessi compresa l’auto aziendale, quindi nell’erogazione bisogna prestare attenzione ai fringe benefits corrisposti al dipendente. Se ad esempio forniamo un buono spesa al lavoratore che già è beneficiario di un’auto ad uso promiscuo, tale buono sarà totalmente soggetto a fisco e contributi.

COSA SI INTENDE PER "CATEGORIE DI DIPENDENTI"?

Nell’attenta lettura dell’articolo 51 del T.U.I.R., con riferimento al valore dei beni e servizi esclusi dal reddito di lavoro dipendente, si può notare un’espressione ricorrente “categorie di dipendenti”, cosa si deve intendere per tale definizione?

L’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 5/E del 2018 ha chiarito come tale espressione non debba essere intesa soltanto con riferimento alle categorie previste nel codice civile (quali impiegati, operai, quadri e dirigenti), bensì a tutti i dipendenti di un certo “tipo” o “categoria” per l’appunto (ad esempio, tutti i dipendenti di un certo livello o di una certa qualifica, ovvero tutti gli operai del turno di notte ecc.), purché tali inquadramenti siano sufficienti a impedire che siano concesse erogazioni ad personam in esenzione totale o parziale da imposte. 

Lo scopo infatti è quello di premiare la collettività e non dare erogazioni personali. Infatti nulla osta all’introduzione di un Piano di Welfare e al rispetto del concetto di categoria di dipendenti, qualora il piano non sia rivolto ad personam ma a un insieme ben identificato di individui costituenti una categoria.

Pertanto, creare una specifica categoria, cucita ad hoc, per individuare un unico lavoratore destinatario del welfare ha chiaramente l’intento di istituire un premio ad personam ed è in violazione della normativa fiscale.

COME ISTITUIRE UN WELFARE AZIENDALE. È NECESSARIO L'ACCORDO CON LE ORGANIZZAZIONI SINDACALI?

L’istituzione di un piano Welfare, non derivante da conversione del Premio di Risultato, può seguire due strade.

Esso può essere adottato da un’azienda sia con la partecipazione attiva dei sindacati e la conseguente formalizzazione di un accordo sia in modo autonomo e unilaterale.

Pertanto NON È OBBLIGATORIO stipulare un accordo sindacale.

Esso però può essere preferibile in quanto, dal punto di vista del fisco dell’azienda, alcune misure di welfare godono di incentivi fiscali pieni solamente se sostenute in modo non volontario.

Nello specifico l’art. 100 del T.U.I.R. prevede che “le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi”.

Cosa significa?

Che se l’azienda decide volontariamente di regalare le vacanze estive ai propri collaboratori (art. 51, comma 1, lettera f) del T.U.I.R.), lo potrà liberamente fare senza alcun impatto in termini di reddito di lavoro del dipendente (esenzione fiscale completa), ma tale spesa (volontaria) sarà fiscalmente deducibile in capo alla Società nel limite del 5 per mille del costo del personale. Oltre tale soglia, invece, la Società si vedrà costretta a pagare la relativa tassazione (IRES o IRPEF che sia), con riduzione dei vantaggi del welfare aziendale.

Il ruolo del regolamento aziendale

È possibile bypassare tutto con un regolamento aziendale? Questa è una domanda che spesso le aziende ci pongono. Sul punto, le ultime interpretazione dell’Agenzia delle Entrate sembrano dare una risposta positiva.

La risposta ad un interpello n. 10/2019 dell’AE di Roma, infatti, ha chiarito come sia possibile istituire un piano di welfare aziendale tramite Regolamento Aziendale, andando a definire, anche per una piccola azienda, diverse categorie di lavoratori (manager, personale di sala, personale di cucina) e differenziando il premio per categoria.

Le caratteristiche del Regolamento devono però essere specifiche:

  1. Vincolante per entrambe le parti;
  2. Senza possibilità di un recesso unilaterale da parte del datore di lavoro;
  3. Non convertibilità in denaro del Credito Welfare residuale, nemmeno a titolo di rimborso totale o parziale;
  4. Avente forza di obbligo negoziale.

Sulla validità o previsione di un regolamento aziendale vincolante (come già precisato dall’Agenzia delle Entrate) e, quindi, integrante la fattispecie della politica di welfare non volontaria (e dunque deducibile) appare evidente che si debba considerare tale previsione come una innovazione che non può, né deve, trovare una sua omonimia nel diritto del lavoro.

Basti pensare a questo: sulla base di quali caratteristiche si può differenziare un regolamento aziendale contenete disposizioni “volontarie” da parte del datore di lavoro che lo ha attuato rispetto ad un atto unilaterale che disponga “vincoli giuridici” (come ad esempio la sua non revocabilità come già precisato dalla A.E. nel 2016) in favore dei lavoratori?

Avere bene in mente quale sia la differenza, per la convenienza rispetto all’applicazione di sistemi di “flexible benefits”, è decisamente determinante.

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