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Con ordinanza n. 27785/2021, la Corte di Cassazione ha ribadito l’obbligo di specificare all’interno del patto di prova le mansioni cui sarà adibito il lavoratore, pena l’invalidità del patto di prova stesso.

Il periodo di prova

Il periodo di prova, disciplinato dall’art. 2096 c.c., consiste in un periodo di tempo collocato all’inizio del rapporto di lavoro, stipulato nell’interesse di entrambe le parti contrattuali, poiché permette l’acquisizione di reciproche informazioni circa la prestazione lavorativa. Da un lato, il datore di lavoro potrà valutare le capacità del lavoratore e dall’altro, il lavoratore potrà rendersi conto del tipo di mansione che gli viene richiesta, delle modalità di lavoro.

La citata disposizione civilistica prevede che il periodo di prova deve risultare da atto scritto e deve essere formalizzato prima dell’assunzione dalle parti, pena la nullità dello stesso.

Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d’indennità, ad eccezione del caso in cui sia previsto un tempo minimo necessario per la prova, in tal caso la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine.

Terminato il periodo di prova le parti potranno recedere liberamente dal contratto senza obbligo di motivazione, oppure, potranno continuarne l’esecuzione. Nel primo caso non è necessario che venga rispettato il preavviso, o che vengano pagate le relative indennità sostitutive, mentre nel secondo caso non è necessario che il datore di lavoro comunichi la volontà di confermare il lavoratore, poiché viene determinato implicitamente dalla prosecuzione dell’attività lavorativa dopo la scadenza del periodo di prova.

La durata del periodo di prova è stabilita dai contratti collettivi in misura diversa a seconda del livello di inquadramento del lavoratore: maggiore sarà il livello e maggiore sarà periodo di prova. Viene lasciata ampia autonomia alle parti di prevedere una durata inferiore, a favore del lavoratore, al fine di ottenere la stabilità del rapporto.

Su questo tema, in passato, sono state pronunciate diverse sentenze dalla Suprema Corte, in ultimo la sentenza n. 9798/2020, con la quale era stata definita la possibilità di stabilire una durata maggiore della prova qualora il lavoratore fosse adibito a mansioni particolarmente complesse, in base al principio per cui il datore di lavoro necessitava di un lasso di tempo più lungo rispetto a quello ritenuto congruo per la generalità dei casi.  L’onere probatorio si concretizza, in questo caso, nel datore di lavoro, dato il vantaggio di quest’ultimo di poter usufruire di un tempo maggiore per valutare le capacità lavorative del dipendente.

Il caso

La controversia in oggetto origina dall’impugnazione di un licenziamento per mancato superamento del periodo di prova, per il quale viene eccepita la violazione delle disposizioni normative contenute nell’art. 2096 c.c. Nello specifico, la parte ricorrente, riportava il difetto di specificità del patto di prova, in relazione ad un mero rinvio – per relationem – al contenuto del contratto individuale circa la qualifica di operaio part-time con inquadramento nel 5° livello del c.c.n.l. Commercio.

La soluzione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte conferma la sentenza della Corte di appello di Milano, la quale aveva rilevato l’invalidità del patto di prova e la conseguente illegittimità del licenziamento intimato alla lavoratrice, condannando la società a reintegrare la dipendente nel posto di lavoro e a corrispondere un risarcimento.

Oggetto del dibattito riguarda il difetto di specificità del patto di prova, il quale conteneva un astratto richiamo alla qualifica e al livello previsto dal contratto collettivo applicato all’azienda. Tale indicazione risultava inidonea, in difetto di altre indicazioni, a stabilire le concrete attività lavorative sulle quali avrebbe dovuto svolgersi la prova. Il patto di prova, specifica la Corte, deve contenere le indicazioni delle mansioni oggetto dello stesso, anche con riferimento alle declaratorie del contratto collettivo, “sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata, sicché, se la categoria di un determinato livello accorpi un pluralità di profili, è necessaria l’indicazione del singolo profilo”.

La ragione del patto di prova va ragguagliata nella reciproca convenienza delle parti contrattuali a valutare l’interesse alla prosecuzione del rapporto di lavoro, pertanto per poter considerare legittimo il licenziamento del lavoratore per mancato superamento del periodo di prova si presuppone che la concreta valutazione debba effettuarsi su mansioni precisamente indicate.

 

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