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Lo straordinario e la non occasionalità

Apr 23, 2019

Per quanto argomento trascurato dall’azienda, la connessione tra orario straordinario e relativa incidenza nella quantificazione del trattamento di fine rapporto è materia più volte esaminata dalla Giurisprudenza.

Sebbene con messaggi altalenanti, il principio cardine risulta essere sempre lo stesso: la corresponsione dei compensi per attività extra ordinaria deve essere utilizzata quale base di calcolo per il trattamento di fine rapporto allorquando tale istituto sia privo di quella “occasionalità” richiesta dall’art 2120 c.c.. Il tutto, ovviamente, fatte salve le previsioni dei contratti collettivi in materia le quali, ex comma 2 dell’art 2120, possono comunque disporre gli elementi utili per il calcolo della retribuzione differita per antonomasia.

Quando è possibile qualificare l’istituto dello straordinario quale continuativo?

Partendo dai riferimenti normativi, l’art 1 comma 2 del d.lgs n°66/2003 definisce il lavoro straordinario come quella attività prestata “oltre l’orario normale di lavoro” consentendo una prima, lessicale, ricostruzione di questo fenomeno nell’ambito di una attività che, essendo extra ordinaria, sia giocoforza classificabile come “eccezionale”.

Il d.lgs citato, inoltre, prosegue nella disciplina di tale istituto all’art 5 la cui rubrica recita lavoro straordinario limitandosi ad auspicare, al comma primo, che il ricorso a tale istituto sia “contenuto” – in linea con la generale previsione di una eccezionalità di effettuazione.

Questa caratteristica di episodicità, si badi bene, non viene persa nemmeno nelle ipotesi di riconoscimento della clausole, individuali, di forfettizzazione dello straordinario. In tali casistiche, secondo la Giurisprudenza, il fatto che vi possa essere un riconoscimento economico fisso e stabile, non significa che le ore straordinarie forfettizzate perdano la loro natura “occasionale”.

Solamente la volontà delle parti, tacita o meno, di riconoscere nell’attività ordinaria la presenza di straordinario, comporterà chiaramente una diversa definizione dello stesso, non legata a fattori episodici ma connessa a quella continuità già richiamata dall’art 2120 c.c. (Cass. n°5119 del 27 febbraio 2008).

Ma come è definibile la non occasionalità richiamata dall’art 2120 c.c.?

Esistono due distinte ipotesi:

  • Un primo orientamento (definibile per quantità) , muove dalla volontà di considerare un istituto come continuativo, verificandone la presenza quantitativo statistica. Molto banalmente: se, all’interno di un percorso temporale di lunga durata si rilevano frequenti o costanti ore straordinarie, tali emolumenti saranno considerati non occasionalità in virtù di una reintegrabilità de facto;
  • Un secondo punto di vista qualitativo, considera esclusivamente il motivo dell’erogazione del compenso per lavoro straordinario. Pertanto è sufficiente che tale compenso sia legato alla particolare organizzazione del lavoro (o alle mansioni stabilmente svolte dal lavoratore) che richieda il fisiologico svolgimento di lavoro straordinario al di là della frequenza statistica.

La Giurisprudenza, sul punto, sembra sposare la seconda tesi stabilendo che la retribuzione non occasionale deve ritenersi libera da un concetto di ripetibilità statistica, dovendo considerare solamente l’organizzazione del lavoro o l’espletamento di funzioni o mansioni richiese dal datore di lavoro. In effetti, il semplice fatto che l’organizzazione lavorativa richieda la presenza di attività straordinario, riportate a LUL, fa sì che questo rientri nella retribuzione utile ai fini del Trattamento di Fine Rapporto.

In tal senso il fatto che non siano state effettuate episodicamente ore di straordinario (magari per un rifiuto del lavoratore) non significa, per la Cassazione, che non siano state “richieste” dal datore di lavoro e, quindi, dalla di lui organizzazione lavorativa.

LE PREVISIONI DEI CONTRATTI COLLETTIVI

Chiarito e circoscritto il problema, è necessario esaminare come l’azienda che ricorra all’istituito dello straordinario, possa gestirne in anticipo gli sviluppi ed evitare differenze salariali postume.

Chiaramente, al di là del mutamento della propria organizzazione interna, è bene leggere con attenzione il proprio contratto collettivo nazionale, con particolare riferimento a quali elementi siano utili ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto.

In tal senso la Giurisprudenza, in applicazione del comma secondo dell’art 2120 c.c, ha riconosciuto all’autonomia negoziale la deroga al principio della onnicomprensività della retribuzione da prendere a base del trattamento di fine rapporto alla condizione che tale deroga sia espressa in modo esplicito, giacché, appunto, si tratta di una eccezione (Cass. 31 agosto 2018 n°21520).

Invero, le previsioni del CCNL, consentono una way out pacifica e difendibile rispetto alle richieste di ricalcolo dell’istituto differito italiano. Non a caso, storicamente, abbiamo già assistito a fenomeni di gestione delle problematiche sino ad ora trattate come, ad esempio, alle modifiche introdotte dall’art. 26 Disc. Spec. Parte  Prima CCNL Metalmeccanici del 1994 e precisamente la “dichiarazione a verbale” che esclude espressamente lo straordinario dalla base di calcolo del trattamento di fine rapporto, proprio in virtù di numerose sentenze avverse ai datori di lavoro del settore.

Chiaramente, in assenza di specifiche definizioni dei contratti collettivi, dovrà trovare applicazione il mero art 2120 c.c., con le perplessità sopra riportate.

Sul punto è bene precisare come il secondo comma dell’art 2120 c.c. ammette la deroga alla contrattazione collettiva, non necessariamente nazionale e, dunque, anche territoriale o aziendale.

I RIFLESSI PREVIDENZALI

In tutto questo, non dobbiamo trascurare il pensiero dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, creditore di quel “contributo” (così come dallo stesso definito) che è il trattamento di fine rapporto mensilmente maturato dalle aziende coinvolte dal “Fondo tesoreria INPS” di cui al d.lgs 252/2005.

Orbene, eventuali ricalcoli della base di calcolo del TFR richiesti su corresponsione di straordinari, influenzeranno altresì il versamento contributivo in favore dell’INPS e, dunque, potrebbero dare adito a sanzioni per omissione contributi ai sensi dell’art 116 comma 8 della Legge n°388/2000. Non a caso taluni verbali ispettivi contestano la metodologia utilizzata dalle aziende in ordine alla quantificazione del trattamento di fine rapporto, rea di sottrarre il “contributo” dalle patrie casse nazionali.

Appare dunque evidente l’importanza, per l’azienda, di valutare attentamente come viene quantificato il montante del trattamento di fine rapporto, considerando l’organizzazione produttiva e, a livello statistico, la presenza di orario straordinario riconosciuto ai propri dipendenti.

Questa necessità di procedere ad una piccola “auto critica” interna risulta ancor più fondamentale se si assume il seguente ovvio principio: se, ad esempio, lo straordinario fosse ritenuto come non occasionale, appare piuttosto semplice estendere questa sua caratteristica anche ad altri componenti retributivi indiretti quali le mensilità aggiuntive (Cass. S.U: 26 marzo 1982 n°1889) o addirittura ferie (Tribunale di Milano n°2625 del 07 ottobre 2016) e, con essi, gli inscindibili riflessi previdenziali (maggiori contributi) ed assicurativi (maggiori premi).

In conclusione, è bene ciclicamente procedere ad un audit interno atto a comprendere come gli straordinari vengono effettuati e se, laddove siano evidenziate criticità di riferimento, sia necessario ricercare soluzioni negoziali che possano almeno garantire la certezza del diritto (ed evitare contenziosi).

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