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Spesso, nella redazione di patti con i dipendenti relativi agli obblighi successivi alla cessazione del rapporto, vengono accomunati il divieto di svolgere attività in concorrenza e quello di stornare la clientela.Si tratta, però, di clausole soggette a regimi differenti, a cui bisognerà prestare attenzione nella redazione delle pertinenti clausole. Vediamo insieme i punti di rilievo.

Obblighi di non concorrenza

È noto come, ai sensi dell’art. 2125 c.c., è possibile limitare lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, con atto scritto in cui siano pattuiti un corrispettivo e determinati i limiti di oggetto, di tempo e di luogo.

Quanto ai requisiti contenutistici, la giurisprudenza (Cass. 4 agosto 2021, n. 22247) ha affermato che occorre osservare i seguenti criteri: a) il patto non deve necessariamente limitarsi alle mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto, ma può riguardare qualsiasi prestazione lavorativa che possa competere con le attività economiche svolte dal datore di lavoro, da identificarsi in relazione a ciascun mercato nelle sue oggettive strutture, ove convergano domande e offerte di beni o servizi identici o comunque parimenti idonei a soddisfare le esigenze della clientela del medesimo mercato; b) non deve essere di ampiezza tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in termini che ne compromettano ogni potenzialità reddituale; c) circa il corrispettivo dovuto, il patto non deve prevedere compensi simbolici o manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato (cfr. Cass. n. 9790 del 2020); d) il corrispettivo del patto di non concorrenza può essere erogato anche durante il rapporto di lavoro (per tutte Cass. n. 3507 del 2001).

In particolare, quanto al punto maggiormente dolente nella redazione del patto, ossia la determinazione di un compenso che sia equo, è stata ritenuta legittima la corresponsione di un emolumento pari al 60% della RAL precedentemente percepita dal lavoratore (Cass. n. 22247/2021). È bene dire, tuttavia, che altre decisioni si attestano su somme nettamente inferiori, e in particolare su percentuali pari circa al 35% dell’ultima retribuzione.

Il divieto di storno di clientela

Oltre agli obblighi di non concorrenza, spesso i patti prevedono anche un divieto di storno di clientela.

Secondo la S.C., simili pattuizioni esulano dalla portata dell’art. 2125 c.c. . Infatti, il patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c., e la clausola contrattuale contenente il divieto di storno di clientela, vietano due condotte differenti: la prima proibisce lo svolgimento di attività lavorativa in concorrenza con la società datrice, anche al termine del rapporto di lavoro; la seconda, invece, impedisce il compimento di atti e comportamenti funzionali a sviare la clientela storica verso un’altra impresa datrice, sfruttando il rapporto di fiducia instaurato e consolidato durante il periodo di dipendenza con la prima società.

Il divieto di storno di clientela mira, poi, a garantire la tutela dell’avviamento della società stipulante, dal momento che esso concorre al mantenimento e alla consolidazione dei buoni rapporti con il portafoglio di clienti acquisiti nel corso del tempo.

Quindi, non applicandosi l’art. 2125 c.c., viene meno la necessità di erogare un corrispettivo. Deve ritenersi, tuttavia, che debbano essere quantomeno circoscritte la clientela oggetto del divieto di storno e la durata del divieto, onde evitare che l’accordo risulti nullo per indeterminatezza dell’oggetto, ai sensi dell’art. 1346 c.c.

È bene sottolineare, in aggiunta, che le attività in questione possono integrare atti di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598, n. 3, c.c.. Infatti, citando la giurisprudenza (v. di recente Tribunale Lucca sez. I, 15 giugno 2021, n. 605), non è esclusa la configurabilità dell’illecito anche quando l’atto lesivo del diritto del concorrente venga compiuto da un soggetto (il cosiddetto terzo interposto) il quale, pur non possedendo egli stesso i necessari requisiti soggettivi (non essendo cioè concorrente del danneggiato), agisca per conto di (o comunque in collegamento con) un concorrente del danneggiato stesso. In questo caso, il terzo va legittimamente ritenuto responsabile, in solido, con l’imprenditore che si sia giovato della sua condotta (Cass. sent. n. 9117 del 2017; n. 17459 del 2007; n. 6117 del 2005; n. 13623 del 1991). Onde integrare l’illecito anticoncorrenziale, non occorre la prova di un pactum sceleris tra l’imprenditore ed il terzo agente, viceversa reputandosi sufficiente una relazione di interessi tra il terzo autore degli atti e l’imprenditore avvantaggiato (Cass. sent. n. 18772 del 2019).

E quindi, in caso di sviamento posto in essere dall’ex dipendente infedele a favore del nuovo datore di lavoro, quest’ultimo potrà essere chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2049 c.c., per l’illecito commesso dal suo prestatore.

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