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“Non vi è ragione per disconoscere il beneficio del lavoratore distaccato che rientri in Italia, specie laddove – come nel caso di specie – al trasferimento consegua un cambiamento dell’attività svolta”. Questo è quanto ha sostenuto la Commissione Tributaria Provinciale di Milano (di seguito anche CTP) con sentenza n. 1479 del maggio scorso.
La sentenza in esame rappresenta la prima espressione in giudizio in materia – prima di essa, nell’applicazione della normativa connessa al regime impatriati, potevamo far riferimento esclusivamente ai dettami dell’agenzia delle entrate. Si tratta inoltre di un tassello di fondamentale rilevanza se consideriamo, ad ampio spettro, il quadro in cui si inserisce. È inevitabile infatti pensare a tutti quei lavoratori distaccati all’estero che abbiano dovuto far rientro in Italia durante il periodo emergenziale per COVID 19.
La Commissione afferma la non necessarietà di un nuovo contratto di lavoro, al fine di permettere anche ai lavoratori che facciano rientro in Italia dopo un periodo di distacco all’estero la fruizione del beneficio fiscale, ma non sembra tuttavia scardinare il requisito della discontinuità della posizione ricoperta dal soggetto prima e dopo il distacco.
Rimane inoltre aperta e persistente la, quantomeno apparente, disparità nel considerare il caso del rientro in Italia di personale distaccato e di lavoratori che trasferiscano la propria residenza in Italia al fine di svolgervi attività lavorativa in regime di smart working.
Di seguito ripercorriamo le varie posizioni dell’Agenzia delle entrate e scorriamo insieme i dettagli della sentenza.
Disposto normativo
Dal punto di vista normativo, l’articolo 16 del D.Lgs. 147/2015 (principale fonte di riferimento dell’attuale assetto del regime fiscale in trattazione), nulla prevede circa i risvolti applicativi di questo regime di favore al personale che faccia rientro in Italia da preesistenti disposizioni di distacco all’estero.
In generale, la norma cita esclusivamente i seguenti requisiti essenziali al fine di poter rientrare nella sfera di applicazione del disposto:
- non essere stati residenti in Italia nei due periodi di imposta antecedenti al trasferimento impegnandosi a risiedere in Italia per almeno due anni;
- trasferire la residenza in Italia ai sensi dell’art 2 del TUIR;
- impegnarsi a svolgere l’attività lavorativa prevalentemente in Italia.
Il TUIR, al citato articolo 2, richiama sia la residenza che il domicilio, dove per residenza si intende la dimora abituale e per domicilio la sede principale dei propri interessi e affari. Ai fini del riconoscimento dell’agevolazione, queste condizioni sono da intendersi alternative purché sussistenti per la maggior parte del periodo d’imposta.
Inoltre, in base al comma 2 dell’art 16, possono essere destinatari dell’agevolazione anche i soggetti che:
- possiedono un titolo di laurea e hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente /autonomo/d’impresa fuori dall’Italia nei precedenti 24 mesi, oppure
- hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o di specializzazione post lauream.
La posizione dell’Agenzia delle Entrate
In assenza di specifiche normative, dovendo fornire risposta ai vari interpelli presentati da contribuenti e imprese in materia, la linea operativa è stata rimessa alla competenza dell’Agenzia delle Entrate. Si precisa, a questo proposito, che l’attuale assetto normativo (appunto l’art. 16 citato) si discosta dal precedente art. 3 della L.n. 238/2010, che nel prevedere i dettagli applicativi del previgente beneficio fiscale, escludeva espressamente dalla platea dei beneficiari il personale distaccato all’estero.
Pare utile a chi scrive, al fine di fornire una panoramica esaustiva, ripercorrere le seguenti indicazioni dell’Agenzia:
Circolare n. 17/E del 2017
L’agenzia aveva escluso l’applicazione del regime degli impatriati ai lavoratori rientranti da un distacco all’estero.
Risoluzione n. 76/E/2018
L’Amministrazione finanziaria aveva rivisto la propria posizione, sostenendo la compatibilità del distacco con il beneficio fiscale in trattazione, purché:
- il distacco fosse stato più volte prorogato o fosse stato particolarmente lungo (indice dell’affievolimento dei legami del lavoratore con l’Italia)
- “il rientro in Italia del dipendente non si ponga in continuità con la precedente posizione lavorativa in Italia”. Il verificarsi, a livello aziendale, della collocazione del dipendente in posizione diversa da quella originaria “in ragione delle maggiori competenze ed esperienze professionali maturate all’estero”. Da qui il requisito affermato dall’Agenzia delle entrate della discontinuità della posizione rivestita dal soggetto prima e dopo il distacco.
Circolare n. 33/E/2020
L’Agenzia ha ribadito e rafforzato il precedente orientamento del 2018, fornendo alcuni indicatori.
Indicatori di continuità sostanziale:
- il riconoscimento di ferie maturate prima del nuovo accordo contrattuale;
- il riconoscimento dell’anzianità dalla data di prima assunzione;
- l’assenza del periodo di prova;
- l’inserimento nel contratto di clausole volte a non liquidare i ratei di tredicesima (ed eventuale quattordicesima) maturati nonché il trattamento di fine rapporto al momento della sottoscrizione del nuovo accordo;
- clausole in cui si prevede che alla fine del distacco, il distaccato sarà reinserito nell’ambito dell’organizzazione della Società distaccante e torneranno ad applicarsi i termini e le condizioni di lavoro presso la Società di appartenenza in vigore prima del distacco.
Indicatori di discontinuità tra il rapporto lavorativo ante distacco e post distacco:
- le condizioni oggettive del nuovo contratto (prestazione di lavoro, termine, retribuzione) necessitino di un nuovo rapporto obbligatorio,
- il nuovo rapporto si ponga in modo sostitutivo del precedente, risultando nuovo ed autonomo dal punto di vista giuridico;
- dal punto di vista sostanziale segua un mutamento dell’oggetto della prestazione e del titolo del rapporto.
Con questa circolare l’Ufficio ha inteso sottolineare pertanto:
- la necessaria previsione di una “nuova” attività lavorativa che il lavoratore si troverà a svolgere a fronte del rientro in Italia, attività quest’ultima che deve necessariamente porsi in linea di discontinuità con la posizione lavorativa rivestita, in Italia, prima del distacco estero;
- e la necessità che questa discontinuità di posizioni risulti dalla formale sottoscrizione di un “nuovo” contratto di lavoro, differente da quello in essere in Italia prima del distacco.
Interpello n. 42/2021
Con Interpello 42/2021, l’agenzia confermava ulteriormente l’orientamento del 2020.
La sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano
La sentenza in esame muove dal ricorso promosso da un contribuente avverso il silenzio – diniego dell’Agenzia delle entrate, consistente nella mancata applicazione del regime impatriati nonché correlata mancata restituzione dell’IRPEF versata in eccesso.
La situazione soggettiva del ricorrente era così connotata:
- lavoratore alle dipendenze di un’impresa italiana, distaccato in Austria dal 01.01.2017 ex art. 30 D.Lgs. 276/2003, con previsione di rientro originaria fissata per la data del 31 dicembre 2019 e incarico del ruolo funzionale di Head of Central and Eastern Europe Financing;
- solamente nel 2018 il lavoratore si trasferì definitivamente in Austria, con l’intera famiglia, e presentò iscrizione all’AIRE il 26.03.2018;
- a fronte di due distinte proroghe il ricorrente rientrò in Italia il 31.08.2020 con registrazione all’anagrafe del Comune di Milano da settembre 2020;
- il ruolo ricoperto dal ricorrente una volta tornato in Italia corrispondeva a quello di Head of Global Infrastructure and Power Project Finance, con assegnazione ufficiale delle funzioni avvenuta nel corso del mese di marzo 2021.
Nei vari passaggi, dal punto di vista lavorativo, il soggetto rimaneva alle dipendenze della medesima impresa italiana e, una volta rientrato in Italia, si vedeva negare l’applicazione del regime impatriati sulla scorta della mancanza di un nuovo contratto di lavoro, seppur in presenza dei requisiti ex art 16 D. Lgs. 147/2015, sopra rappresentati. Il tutto nonostante tra i requisiti formali citati dalla norma non vi sia traccia del presupposto della discontinuità formale e sostanziale fra il rapporto di lavoro svolto all’estero e quello esercitato al rientro in Italia.
Nel merito la Commissione tributaria competente, ha definito tale interpretazione dell’agenzia delle entrate erronea “in quanto non trova supporto nella lettera e nella ratio del citato articolo 16”.
Tale presa di posizione fonda le sue radici nell’assenza di riscontro nel disposto normativo che:
- da un lato, presenta come requisiti che: a) i lavoratori non siano stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento e si impegnino a risiedervi in Italia per almeno due anni; b) l’attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio italiano.
- dall’altro, “la disposizione in parola – la cui ratio è quella di favorire il rientro in Italia di lavoratori italiani che abbiano prestato all’estero la propria attività lavorativa – non fa riferimento alla necessità di stipula di un nuovo contratto di lavoro”.
Espressamente la Commissione afferma: “Non vi è ragione per disconoscere il beneficio del lavoratore distaccato che rientri in Italia, specie laddove – come nel caso di specie – al trasferimento consegua un cambiamento dell’attività svolta”.
A questo proposito infatti, si precisa che nel caso di specie, il ricorrente poteva far valere nella sostanza la discontinuità della posizione lavorativa ricoperta in Italia ante e post distacco estero. Nello specifico:
- prima del distacco il ricorrente ricopriva il ruolo di Head of Financial Sponsor Solutions Italy – occupandosi in particolare di progettazione e coordinamento a livello apicale locale di progetti LBO a supporto di private equity;
- a fronte del rientro il ricorrente è stato assegnato al nuovo e diverso ruolo di Head of Global Infrastrutture and Power Project Finance, dedicandosi pertanto al coordinamento strategico a livello apicale globale e della gestione di macro-operazioni di project financing.
Appare evidente un orientamento della Commissione molto più aderente al tenore normativo nel valutare i singoli casi di applicazione del regime in questione.
La sentenza lascia tuttavia aperta la questione connessa alla necessità, o meno, del requisito di discontinuità della posizione lavorativa del soggetto rivestiva prima e dopo il rientro in Italia a seguito di un distacco estero.
Al riguardo infatti, la Commissione nulla dice, non si espone né a sostegno della necessità di tale requisito né disconoscendone la necessità. Certamente emergono:
- la necessità di rispettare i due requisiti di accesso al regime citati dall’articolo 16, unico disposto normativo nel caso di specie;
- la non necessarietà della presenza di un documento formale – leggasi “nuovo contratto” – attestante la discontinuità di posizioni ricoperte dal soggetto in Italia prima e dopo il distacco estero.
Questa sentenza deve essere interpretata come un importante passo avanti verso un’apertura e alleggerimento dei requisiti di accesso al regime impatriati per i lavoratori distaccati.
Peraltro, da ultimo, non si può non rilevare la, quantomeno apparente, diversità di trattamento tra lavoratori distaccati e i lavoratori che trasferiscano la propria residenza in Italia per svolgere attività in regime di smart working, magari anche con datore di lavoro non residente. Infatti, se nel primo caso, come qui rappresentato, l’accesso al regime è condizionato al rispetto di una molteplicità di requisiti (tra gli altri durata del distacco, numero di proroghe, discontinuità della posizione ricoperta dal soggetto ecc.), nel secondo caso, l’applicazione è lineare e semplice.
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