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Con la Risposta a Interpello n. 314/2021, l’Agenzia delle entrate si è espressa sull’imponibilità fiscale del rimborso spese ai dipendenti in smart working stabilendo che, a determinate condizioni, tale rimborso possa considerarsi esente da imposte.
La nozione di reddito da lavoro dipendente
Fulcro del ragionamento dell’Agenzia è la disamina della nozione di reddito da lavoro dipendente, ai sensi degli artt. 49 e 51 T.U.I.R. La regola generale, secondo la legislazione tributaria, è che le somme corrisposte al lavoratore, anche a titolo di rimborso spese, costituiscano reddito di lavoro dipendente. Infatti, l’art. 51 c. 1 del TUIR adotta una nozione onnicomprensiva di retribuzione fiscalmente imponibile, riconducendovi «tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro».
Ricordiamo che la disposizione hai dei riflessi anche sotto il profilo previdenziale, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 12, l. n. 153/1969. Pertanto, gli emolumenti erogati in dipendenza dal rapporto di lavoro concorrono alla formazione della base contributiva, salvo le esclusioni tassative ex art. 12, c. 4, l. n. 153/1969 e quelle previste dalla disciplina fiscale ai sensi dell’art. 51, c. 2, T.U.I.R.
Tuttavia, considerando la ratio sottesa alle eccezioni sancite nell’art. 51 T.U.I.R., nel corso del tempo l’Amministrazione finanziaria ha individuato alcune deroghe al principio di onnicomprensività. In particolare (Risoluzione 9 settembre 2003, n. 178 /E):
- non concorrono alla formazione della base imponibile le somme che non costituiscono un arricchimento per il lavoratore (è il caso, ad esempio, degli indennizzi ricevuti a mero titolo di reintegrazione patrimoniale);
- non sono fiscalmente rilevanti, in capo al dipendente, le erogazioni effettuate per un esclusivo interesse del datore di lavoro e segnatamente le spese anticipate dal dipendente per snellezza operativa.
Considerati tali principi – e sulla scorta di un proprio precedente orientamento in materia di telelavoro (Risoluzione 7 dicembre 2007, n. 357/E) – l’Agenzia delle entrate ha inferito che anche i costi da rimborsare ai dipendenti in smart working possano essere esclusi dalla base imponibile in quanto spese di competenza del datore di lavoro. Condizione imprescindibile per lo scomputo è, però, che tali spese non costituiscano un arricchimento per il lavoratore.
La natura risarcitoria dell’emolumento sembra declinata dall’Amministrazione secondo due direttrici. In primo luogo – anche se non esplicitato dalla Risposta – pare che possano escludersi dalla base imponibile le spese documentate dal lavoratore. Questo, peraltro, è quanto indicato dalla risoluzione 7 dicembre 2007, n. 357/E, richiamata dalla Risposta in parola, inerente al rimborso delle spese telefoniche nel telelavoro. Diverso è il discorso nell’ipotesi di rimborso forfettario. In tale ipotesi, precisa l’Agenzia, mancano dei criteri che determinino la quota riferibile all’uso nell’interesse del datore di lavoro e, di conseguenza, esclusa dall’imposizione. Ne discende che i costi sostenuti dal dipendente debbano essere individuati sulla base di elementi oggettivi e documentalmente accertabili. Altrimenti, il relativo rimborso concorre alla determinazione del reddito di lavoro dipendente, con applicazione delle detrazioni previste dall’art. 13 T.U.I.R. (v. Circolare del Ministero delle Finanze – (CIR) n. 326 E del 23 dicembre 1997).
Quali sono i criteri di definizione delle spese?
Resta quindi da chiedersi come declinare gli “elementi oggettivi e documentalmente accertabili” che fungono da condizione necessaria dell’esenzione fiscale, ove si proceda ad un rimborso forfettario. L’Agenzia non fornisce indicazioni operative sul punto, ma l’accoglimento dell’interpello induce quantomeno a ritenere approvato il modus operandi dalla Società istante.
Nello specifico, l’Azienda aveva predisposto una tabella in cui, per ogni tipologia di spesa, era indicato il risparmio giornaliero per la Società e il costo giornaliero per dipendente in smart working stimato. Le voci prese in considerazione erano:
- il consumo di energia elettrica per l’utilizzo di un computer e di una lampada;
- l’utilizzo dei servizi igienici (acqua e materiale di consumo);
- l’utilizzo del sistema di riscaldamento per un’ora al giorno.
Non sono stati invece considerati:
- le spese di vitto (ma, in questo caso, potrebbe essere erogato il buono pasto);
- i costi di climatizzazione estiva;
- i costi per la rete internet;
- altri costi fissi quali le spese di allaccio alla rete elettrica ed idrica.
Infine, risultava che l’importo del rimborso giornaliero, fissato in euro 0,50, fosse in realtà inferiore rispetto al costo giornaliero per l’Azienda, stimato in euro 0,5105.
Alla luce dei principi espressi dalla Risposta, potrebbero essere ricomprese nel rimborso anche altre voci oltre a quelle indicate dalla Società istante, purché il complesso delle somme erogate assuma effettivamente carattere indennitario, non eccedendo le spese sostenute dal dipendente.
Per quanto concerne gli strumenti giuridici con cui disciplinare il rimborso spese, nel silenzio della Risposta appare possibile procedere mediante accordo sindacale, con regolamento aziendale oppure negli accordi individuali di lavoro agile disciplinati dall’art. 19, l. n. 81/2017.
Due riflessioni sul tema
I principi contenuti nella risoluzione in oggetto portano ad un paio di considerazioni non banali.
Da un lato, l’Agenzia delle Entrate, rispetto a quanto già contenuto in altre risoluzioni (74/2017) ha affermato un nuovo principio. Cioè la possibilità di definire degli importi forfettari a titolo di rimborso spese. Questo nella logica di poter dimostrare, a priori, come tale valore sia inferiore rispetto a quanto effettivamente sostenuto dal lavoratore per conto del datore di lavoro. Di diverso avviso era stata l’Agenzia delle Entrate quando l’azienda aveva chiesto se potesse forfettariamente addebitare al lavoratore il 50% delle spese telefoniche collegate all’uso del cellulare aziendale anche per fini personali (rif. Risoluzione 74/2017).
Dall’altro, l’Agenzia delle Entrate ha espressamente indicato che le somme oggetto dell’interpello sono da ritenersi “un rimborso di spese sostenute in nome e per conto del datore di lavoro”. Tale affermazione sottesa alla risoluzione, apre la possibilità, seppure indiretta, di un contenzioso tra azienda e lavoratore in merito al rimborso delle spese sostenute durante il periodo di lavoro in home office, così come era avvenuto in tema di fruizione del servizio mensa.
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