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Il 2023, dopo due anni di emergenza epidemiologica, è stato caratterizzato da un trend essenzialmente positivo per quanto riguarda la competitività del “settore turistico” italiano (che non poteva eguagliare i fasti del 2022) che torna ad essere, dopo il duro arresto del 2020 e 2021, una fetta rilevante del mercato dello Stivale. Proprio in ragione di ciò, la prima metà dell’anno può segnalare almeno due norme emanate ad hoc, a tutela di tale settore. Il riferimento è ai disposti normativi votati ad una maggiore valorizzazione, almeno per quanto attiene alla tassazione, dei lavoratori di quel mondo fatto di fatica, ritmi incalzati, stress, lavoro notturno e/o festivo.

Le norme

Il primo intervento promosso dal legislatore, si ravvisa nella Legge di Bilancio 2023 (art. 1, comma 58) la quale ha il merito di aver introdotto, con decorrenza 1° gennaio 2023, la cosiddetta “detassazione sulle mance” in favore dei lavoratori dei pubblici esercizi e del comparto ricettivo, entro i limiti definiti sia di valore che redditività del percipiente. Grazie a tale intervento le somme destinate dai clienti ai lavoratori a titolo di liberalità state assoggettate ad un’aliquota agevolata pari al 5%, esente da contribuzione previdenziale.

Con la conversione del c.d. decreto lavoro (D.L. n°48/2023 convertito in legge n°85/2023) abbiamo poi assistito all’introduzione di un ulteriore elemento integrativo speciale, concesso e pensato proprio, secondo quanto asserito dall’art. 39 bis della legge in parola, per “garantire la stabilità occupazionale e di sopperire all’eccezionale mancanza di offerta di lavoro nel settore turistico, ricettivo e termale”. Un trattamento integrativo speciale destinato a quei “lavoratori del comparto del turismo” pari al “15 per cento delle retribuzioni lorde corrisposte in relazione al lavoro notturno e alle prestazioni di lavoro straordinario, ai sensi del decreto legislativo 8 aprile 2003, n.  66, effettuato nei giorni festivi”.

Gli operatori del settore erano (e sono, come vedremo) in attesa dei necessari chiarimenti, al fine di poter procedere all’applicazione, per quanto possibile, dei disposti in parola. L’Agenzia delle Entrate, come già commentato (vedasi Guida al Lavoro n° 36 del 15 settembre 2023), ha pubblicato la propria posizione all’interno della circolare del 29 agosto 2023 n°26/E, fornendo indicazioni, esemplificazioni, codici tributo (in realtà già consegnati con la risoluzione del 09 agosto 2023) e varie.

Dopo diversi mesi dall’adozione di queste due norme appare utile interrogarsi circa la possibilità, in seguito alle indicazioni fornite da parte dell’Agenzia delle Entrate, di tradurre concretamente i disposti legislativi nelle agevolazioni prospettate dal legislatore.

Le mance costituiscono reddito?

Analizzando il testo di legge sulla detassazione delle mance, sembra evidente che l’intento del Legislatore sia quello di introdurre una disciplina fiscale che, prima di tale norma, non esisteva.

Infatti, l’articolo 1 comma 58 dispone che “le somme destinate dai clienti ai lavoratori a titolo di liberalità, anche attraverso mezzi di pagamento elettronici, riservate ai lavoratori di cui al comma 62, costituiscono redditi di lavoro dipendente”.

Sebbene l’Agenzia delle Entrate considerasse esenti dal reddito da lavoro dipendente, e dunque non assoggettate a tassazione, le “donazioni di modico valore”, la Cassazione già nel 2021 si era espressa riconducendo nel novero del reddito da lavoro dipendente le liberalità percepite a titolo di “mance”, anche laddove di modico valore.

In ogni caso dal 2023 la posizione è netta. Le mance sono reddito, che potrà essere detassato o meno a seconda delle prerogative della norma.

Nonostante il chiaro intento del Legislatore, per le aziende l’applicazione concreta di tale disposto non appare affatto semplice.

Infatti, presupposto fondamentale per la piena applicazione del disposto in parola, è la piena conoscenza da parte di ciascuna impresa e/o operatore di questa “variabile”, ossia delle “donazioni” che vengono incassate (e come vengono distribuite) per poter successivamente procedere alla tassazione secondo i dettami dell’Amministrazione Finanziaria.

Tralasciando la facile allusione al divieto di pagamento in contanti per la retribuzione (perché, almeno su questo dovremmo essere d’accordo, il “pagamento” non avverrebbe a cura del datore di lavoro), ad oggi tracciare il fenomeno mance è complesso e gravoso, nonché rimesso alla buona fede del ricevente.

E quand’anche alla fine di una ipotetica “serata” venissero consegnati allo sventurato esercente dei contanti, egli dovrebbe prendere cura del valore percepito da ogni collaboratore, verificare l’assenza di una rinuncia scritta alla percezione, considerare il reddito del percipiente, considerare la sommatoria delle c.d. mance affinché rimanga confinata nel 25% del reddito complessivo percepito nell’anno (che si saprà evidentemente solo al termine dello stesso) e procedere a tassazione.

La norma apre lo spazio anche alle mance elettroniche, ovvero ricevute con tali mezzi di pagamento. Ma si tratta di una prassi sconosciuta, attesi gli innumerevoli problemi di “raccolta” (due conti separati? Nello stesso scontrino?) e divisione.

Il tutto poi si scontra con una realtà evidente.

Se in qualche modo la disposizione in parola voleva essere un primo aiuto verso il settore del turismo così complesso e poco considerato, si assume subito il fatto che tale mondo non appare conosciuto dal legislatore, il quale avrà anche consegnato una norma a copertura di un buco normativo (giusto o sbagliato che sia) ma non esente da criticità. Infatti:

  • le norma in parola impone alle aziende del settore una tracciabilità che, fino a questo momento, non era mai stata una tematica aziendale. Anzi, le liberalità non erano volutamente disciplinate dalle aziende, vista la loro natura distinta rispetto al rapporto di lavoro;
  • non consegna un quadro di tracciabilità del fenomeno. La presenza massiccia di mance in contanti, viene rimessa alla singola buona volontà del percettore che, se vorrà, comunicherà all’azienda i valori da egli divisi e/o ottenuti.

Ad oggi la migliore difesa appare essere quella di comunicare tramite proprio regolamento, se non si ritiene di dover tracciare dogmaticamente la donazione / liberalità (con costi e complicanze del caso), che nel caso di percezione di liberalità da parte dei dipendenti (evidentemente in contanti) queste dovranno essere comunicate alla direzione aziendale al fine di procedere con gli adempimenti fiscali di rito. Nel caso in cui tali comunicazioni non venissero effettuate, almeno il sostituto di imposta potrebbe ritenersi esentato da una imposizione fiscale di una “mancia” a lui suo malgrado sconosciuta.

Elemento integrativo speciale. Quale campo di applicazione?

Con particolare intensità nel periodo post-pandemico, sono state numerose le segnalazioni e denunce da parte dei datori di lavoro operanti nel settore turistico che lamentano di non riuscire, malgrado la forte crescita registrata negli ultimi due anni, a reperire personale. Ed è proprio al fine di premiare i lavoratori del comporto turistico che il Governo ha introdotto un elemento integrativo speciale per il periodo dal 1° giugno 2023 al 21 settembre 2023, ovvero la cosiddetta stagione “alta” del turismo.

L’Agenzia delle Entrate è poi intervenuta con due atti volti a chiarirne l’applicazione pratica: prima con la risoluzione del 9 agosto 2023 – che consegna il codice tributo di riferimento – e successivamente con la circolare 26/E/2923, che ha fornito chiarimenti in merito a quali dichiarazione ottenere e come applicare tale agevolazione.

Malgrado l’apprezzabile tempestività dell’Agenzia (intervenuta due mesi dopo la decorrenza dell’intervento legislativo), non appare ancora del tutto chiaro quale sia l’effettivo ambito di applicazione della norma.

L’art 39 bis cita “ai lavoratori del comparto del turismo, ivi inclusi gli stabilimenti termali”.  L’assenza di specifiche sulla qualificazione delle aziende del “comparto del turismo” sta portando, oggi, ad una non applicazione della norma se non in quei settori dove sia davvero certo che si possa parlare di turismo. Ma un pubblico esercizio in un comune che, in agosto, si svuota in assenza di clienti (perché in ferie) è turismo? La ristorazione collettiva in alcune località turistiche ad apertura infra annuale è considerata dalla norma? E così i commercianti in località marittime, i lavoratori stagionali che puliscono le spiagge nelle nostre coste sono o non sono afferenti al “comparto del turismo”?

Noi, con filosofia, il codice tributo lo abbiamo. Per il resto attendiamo (tanto per i lavoratori cessati sarà facile fargli percepire il trattamento no?).

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