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Con la sentenza del 21 aprile 2023, n. 10776, la Cassazione Civile Sezione Lavoro ha sancito che, laddove sussista un contratto d’appalto con un consorzio, il vincolo contrattuale lega, in primis, il Committente al Consorzio e, a sua volta, il Committente alle Società consorziate facenti parte di quest’ultimo.

Ciò, a sua volta, implica che la cosiddetta responsabilità solidale che grava sul committente si estenda anche agli inadempimenti retributivi e contributivi delle consorziate, con il fine ultimo di tutelare i lavoratori coinvolti dall’appalto.

Il caso in esame

Nella causa in esame, proposta dall’Inps contro la Società P., il ricorrente demandava il pagamento di 8.969,00 Euro per omissioni contributive e somme aggiuntive per il periodo intercorso tra giugno 2008 e il 31 marzo 2009. In particolare la domanda, si cita la sentenza, “si fondava sulla qualità di committente di un appalto di servizi, obbligata in solido per gli inadempimenti della Cooperativa A., appartenente al Consorzio G.".

Il caso è dunque il seguente: la Società P. ha stipulato con il Consorzio G. un contratto di appalto, tra i quali pacificamente sussiste, come da normativa in materia, la cosiddetta responsabilità solidale.

Con tale espressione, come riportato dall’articolo 29, comma 2, del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, si indica la fattispecie per la quale, in caso di appalto, il committente è da ritenersi “obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori” entro il limite di due anni dalla conclusione dell’appalto, “a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti” per il periodo di esecuzione del contratto di appalto.

Nel caso in questione la Società P. è stata ritenuta obbligata in solido anche nei confronti della Società consorziata e, in conseguenza di ciò, nei confronti della Cooperativa A., per le inadempienze contributive riscontrate dall’Istituto previdenziale nel periodo compreso tra giugno 2008 e marzo 2009.

Il Tribunale di Bologna, autorità che in primis si è espressa sulla tematica, ha inizialmente condannato la Società P. al pagamento delle omissioni contributive, escludendo invece le somme aggiuntive.

A tale pronuncia, la Società P. si è appellata chiedendo la decadenza dell’art. 29, comma 2, del precitato Decreto Legislativo n. 276 del 2003, ovvero la decadenza della fattispecie “solidale”.

Come riportato nella sentenza, “l’Inps, dal canto suo, ha proposto appello incidentale, dolendosi della revoca del decreto ingiuntivo con riferimento alle sanzioni civili”, il quale, tuttavia, depositato più di due anni dopo la risoluzione del contratto di appalto, è decaduto per mancato rispetto delle tempistiche prescritte (e conseguenze decadenza biennale) da parte dell’Istituto.

Si giunge, dopo un ricorso da parte dell’Inps e un relativo controricorso da parte della Società P., alla sentenza in esame.

La sentenza della Corte

Anzitutto, la Corte ha ravvisato nella sentenza n. 10776 del 21 aprile 2023 come il termine decadenziale di due anni non possa essere applicato agli enti previdenziali, assoggettati al solo termine di prescrizione in ragione della peculiare funzione pubblica ricoperta.

In caso contrario, si configurerebbe il paradosso secondo il quale il Committente, ai sensi dell’articolo 1676 del Codice Civile, risulterebbe obbligato alla corresponsione ai lavoratori delle retribuzioni omesse, ma, considerando legittima la decadenza agli Enti previdenziali, il medesimo non sarebbe obbligato a versare i relativi contributi.

Per quanto attiene all’aspetto centrale della vicenda, ovvero alla sussistenza effettiva una responsabilità cosiddetta causale tra la Società P. e la Cooperativa A., la Corte afferma come, ricoprendo le Società consorziate il ruolo di vere e proprie “appaltatrici”, nel caso di inadempimento loro imputabile, il Committente è da ritenersi obbligato in solido nei confronti di quest’ultime con la ratio ultima della tutela dei lavoratori che, come riportato nella sentenza n. 40782 del 20 dicembre 2021, rappresenta la chiave di lettura (nonché la finalità ultima) della normativa in esame.

A tal proposito, riprendendo l’analoga sentenza della Cassazione Civile n. 40782 del 20 dicembre 2021 infatti è possibile sostenere come il medesimo vincolo contrattuale tra il Committente e il Consorzio “non può non rendere il committente solidalmente responsabile degli inadempimenti delle consorziate” e, rispetto a queste ultime, sorge in capo al Committente l’esigenza di tutelare i lavoratori “al fine di preservarli dal rischio dell’inadempimento del proprio datore di lavoro".

Per tale ragione, è possibile affermare come il disposto normativo di cui all’art. 29, comma 2, del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, si possa legittimamente applicare non solo con riferimento al rapporto tra il Committente e il Consorzio ma, altresì, tra il Committente e le Società consorziate laddove si riscontrino degli inadempimenti retributivi e contributivi nei confronti dei lavoratori.

Decadenza o prescrizione. Le pretese creditorie dell’INPS nella catena degli appalti

La sentenza in trattazione ha, peraltro, rimarcato un principio già noto in giurisprudenza ovvero la disapplicazione del termine decadenziale di anni 2, in favore del normale termine prescrizionale (anni 5) a cui è sottoposto l’INPS per la richiesta di contribuzione non versata da appaltatori e sub appaltatori (o, in questo caso, consorziati o affidatari a vario titolo).

Tale principio è stato infatti chiarito dalla sentenza n. 18004 del 4 luglio 2019 della Corte di Cassazione.

In prima battuta la Corte d’Appello di Torino, confermando quanto stabilito in primo grado, aveva sancito l’applicabilità del termine di decadenza biennale, di cui all’ 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003, anche nei confronti dell’INPS. La stessa, dunque, aveva respinto l’appello proposto dall’Ente Previdenziale nei confronti della committente, in quanto risultavano decorsi oltre due anni dalla cessazione del consorziato.

Attesa la sentenza di secondo grado, l’INPS proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo l’illegittimità della pronuncia, nella parte in cui aveva ritenuto applicabile anche all’En­te previdenziale, e non ai soli lavoratori, il termine di decadenza biennale, “senza considerare che l’INPS nell’esercizio dei poteri d’ufficio non può decadere, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi a proposito della L. n. 1369 del 1960, art. 4 (Cass. n. 996 del 2007)”.

Secondo la Cassazione la questione controversa poteva riassumersi in due differenti opzioni interpretative.

La prima secondo cui “si tratterebbe di una peculiare obbligazione contributiva che, pur legittimando il solo Ente previdenziale alla pretesa – posto che il lavoratore non può certo ricevere i contributi- sia del tutto conformata alla speciale azione riconosciuta al lavoratore e, quindi, soggetta al termine di decadenza di due anni”.

La seconda che, tenuto conto “di espresse regole relative alla pretesa contributiva ed in considerazione della diversa natura delle due obbligazioni, induce a ritenere applicabile alla fattispecie la disciplina generale dell’obbligazione contributiva che non prevede alcun termine di decadenza per l’esercizio dell’azione di accertamento dell’obbligo contributivo, soggetto solo al termine prescrizionale”.

La Corte Suprema, ritenendo preferibile quest’ultimo orientamento, accoglieva il ricorso dell’Ente Previdenziale chiarendo come «il termine di due anni previsto dal D.lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, non è applicabile all’azione promossa dagli enti previdenziali, soggetti alla sola prescrizione».

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