È una norma che seguita ad essere ignorata, ma dalla portata dirompente: l’art. 183-ter L. fall., come modificato dalla l. n. 232/2016, ha mutato in modo pregnante la disciplina della transazione fiscale e previdenziale (ora “proposta di trattamento dei crediti tributari e contributivi”) nel caso di fallimento e accordi di ristrutturazione del debito. Se per la transazione fiscale, come vedremo, l’Amministrazione finanziaria ha cominciato a porre chiarezza, tuttora nebulosa è l’utilizzabilità della transazione previdenziale.
Riguardo a quest’ultima, ne possono essere oggetto i «contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie». Quindi, vi sono ricompresi sia i contributi destinati all’Inps, sia quelli rivolti agli enti previdenziali privatizzati. Peraltro, per quanto concerne le somme disponibili, sembrerebbe che possa essere oggetto di transazione anche la quota di contributi a carico del lavoratore. Ciò mutuando gli orientamenti giurisprudenziali in tema di indebito contributivo, i quali hanno correttamente sottolineato che ai sensi dell’art. 19, l. n. 218/1952, il datore di lavoro è responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte a carico dei lavoratori trattenuti sulla retribuzione corrisposta ai medesimi, risultando direttamente obbligato verso l’ente previdenziale anche per la parte a carico dei lavoratori dei quali non è rappresentante ex lege. Pertanto, come in ipotesi di indebito contributivo solo il datore può ripetere dagli enti previdenziali anche le quote in capo al lavoratore, analogamente il datore potrà disporre delle predette quote in sede di transazione. Deve però ritenersi che la transazione non lo esenti da eventuali responsabilità penali relative all’omesso versamento delle trattenute.
Articolo pubblicato sul numero 41 del 15 ottobre 2021 della Guida al Lavoro, settimanale de Il Sole 24 Ore. Approfondimento a cura di Dario Ceccato e Giovanna Pistore.