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Il mese di dicembre è tradizionalmente caratterizzato dalla presenza di significative novità e riforme in ambito normativo. È infatti in questo periodo che viene annualmente pubblicata la Legge di Bilancio, che ne rappresenta la fisiologica espressione. Tuttavia, l’annualità 2023, già interessata dalla pubblicazione del Decreto Lavoro (d.l. 48 del 2023, successivamente convertito in Legge), rappresenta la cornice di un ulteriore provvedimento normativo attualmente in trattazione: il Disegno di Legge Lavoro, presentato alla Camera dei deputati lo scorso 6 novembre 2023.
In ambito giuslavorista, assumono particolare rilevanza le previsioni contenute nel Disegno di Legge di cui agli artt. 6, 7, e 9, rispettivamente disciplinanti il periodo di prova, la comunicazione di “smart-working” sul sito del Ministero del Lavoro e le assenze ingiustificate del lavoratore con finalità dimissorie.
Il periodo di prova: la durata massima
La necessità di apporre una durata massima al “periodo di prova” era già stata parzialmente indagata dal Legislatore nel 2022, attraverso la pubblicazione del Decreto Legislativo n. 104 del 2022 il quale, ribadendo la necessaria proporzionalità con le mansioni da svolgere e la natura dell’impiego cui un lavoratore viene adibito, ne fissava la durata massima in sei mesi.
L’esigenza di individuare un periodo limite entro il quale il periodo di prova debba necessariamente espletarsi, è facilmente spiegabile, agli occhi del Legislatore, per via della sua naturale deroga alle ordinarie causali di licenziamento vigenti nell’ordinamento italiano, quali, si semplifica, giustificato motivo o giusta causa.
Il periodo di prova rappresenta, al contrario, un periodo di libero recesso, sia per il lavoratore che, ben più significativo, per il datore di lavoro.
Non stupisce dunque che l’art. 6 del DDL in esame individui una specifica tutela per la tipologia contrattuale dei tempi determinati, per i quali il recesso datoriale, una volta terminato il periodo di prova, può essere esercitato esclusivamente per giusta causa, ovvero laddove si ravvisino delle condizioni di gravità tale da non poter consentire la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto di lavoro.
Agendo direttamente sul predetto art. 7 del Decreto Legislativo n. 104 del 2022, il Legislatore dispone che, nei contratti di lavoro a tempo determinato:
- la durata minima del periodo di prova, venga individuata in due giorni;
- la durata massima, per i contratti di durata non superiore a sei mesi, sia fissata in quindici giorni mentre, per i contratti con un termine superiore a sei mesi ma inferiore ad un anno, sia stabilita in trenta giorni.
In generale, fatte salve le previsioni più favorevoli previste dalla contrattazione collettiva, viene introdotta una nuova “formula” per il calcolo del periodo di prova nei contratti a termine: “un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro”, così recita il novellato art. 2 dell’art. 7.
Ci si deve dunque interrogare sugli effetti di tale disposto normativo nelle prassi quotidiane. Periodi di prova così corti o non rilevanti potrebbero non consentire quella “visione bivalente” del rapporto lavorativo tale da indurre le aziende a valutare contratti a termine di minore durata, con possibilità di sfruttare proroghe a “step”, in un chiaro intento di superare la brevità del periodo di prova di un tempo determinato.
L’assenza ingiustificata del lavoratore può essere equiparata ad un comportamento dimissorio?
L’articolo 9 del Disegno di Legge in parola sembra dare una risposta affermativa a tale domanda che, gli esperti di settore, invocano da tempo.
Infatti, attraverso l’introduzione del comma 7-bis all’art. 36 del Decreto Legislativo, n. 151 del 2015 l’assenza ingiustificata del lavoratore per un termine superiore rispetto a quello previsto dal contratto collettivo (o, in sua assenza, di cinque giorni) viene equiparata ad una volontà dimissoria del lavoratore e non più ad uno dei motivi di recesso tipici della cosiddetta “giusta causa”.
Se il Disegno di Legge venisse approvato nella sua attuale versione bollinata, l’assenza ingiustificata costituirebbe dunque valido motivo di risoluzione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore, con importanti risvolti in materia di “ticket di licenziamento” poiché, venendo a mancare il presupposto di recesso datoriale, non sarebbe più dovuto da parte della Società.
L’entrata in vigore dell’art. 9 in parola stravolgerebbe dunque l’attuale impianto normativo in materia. Ad oggi, infatti, in caso di assenza ingiustificata del lavoratore per un numero di giorni superiori a quelli previsti da parte del contratto collettivo è richiesta l’attivazione dell’iter disciplinare (contestazione dell’addebito, eventuale giustificazione da parte del lavoratore e successiva comminazione della sanzione – in questo caso, non conservativa) con conseguente licenziamento.
Configurandosi come tale, poi, il lavoratore avrebbe attualmente diritto a percepire l’indennità mensile di disoccupazione (NASpI), gravando non poco, vista la diffusione del fenomeno, sulle Casse dello Stato.
Anche in questo caso l’ipotesi di norma, deve essere messa a “terra” ed esaminata nella sua considerazione fattuale. Non è tanto il fenomeno, deprecabile, dell’assenza ingiustificata preordinata al licenziamento che dovrebbe essere censurato (per quanto sia statisticamente molto frequente) ma la fattispecie giuridica in sé ovvero il riconoscimento della NASpI in caso di licenziamento per giusta causa.
Per esemplificare, se il contratto collettivo disponesse assenze per sei giorni consecutive per arrivare al licenziamento, cosa potrebbe escludere che il lavoratore, intenzionato a percepire la NASpI in ogni caso, non posa effettuare due o tre assenze frazionate di quattro giorni al solo fine di farsi, in ogni caso, licenziare?
Termine di comunicazione per il lavoro agile
Come noto, tra i vari adempimenti richiesti ai fini dell’esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile, vi è l’obbligo di comunicare in via telematica sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la data di inizio della prestazione in “smart-working”.
La modifica introdotta dall’art. 7 del disegno di legge in parola all’art. 23, comma 1 della legge n. 81 del 2017 introduce ad oggi l’obbligo di provvedere a tale adempimento “entro cinque giorni dalla data di avvio de periodo oppure entro cinque giorni successivi alla data in cui si verifica l’evento modificativo della durata o della cessazione del periodo di lavoro svolto in modalità agile”.
Il tutto in attesa di una riforma organica della norma, oramai imprescindibile visto l’utilizzo di tale istituto.
Non sembra oggetto di proroga la concessione di politiche di smart working per i genitori di fili under 14 anni. Staremo a vedere.
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