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Il dirigente che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non abbia fruito delle ferie, ha diritto a un’indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo messo nelle condizioni di esercitare il diritto in questione prima di tale cessazione, mediante un’adeguata informazione nonché, se del caso, invitandolo formalmente a farlo. Questo è quanto sancito dalla Cassazione con sentenza 18140/2022, nella quale viene esteso il diritto alla monetizzazione delle ferie anche ai lavoratori che ricoprono la qualifica dirigenziale.
Oggetto del contenzioso, al quale fa seguito la sentenza sopra citata, è la mancata fruizione dell’adeguato riposo compensativo nel corso del rapporto di lavoro, appare quindi opportuno inquadrare all’interno del sistema delle fonti italiano l’istituto delle ferie.
Il quadro normativo
Le ferie costituiscono per il lavoratore un diritto di rango costituzionale, sancito all’art.36 che afferma: “il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”. Tale principio costituzionale riconosce al lavoratore il diritto di sospendere l’attività lavorativa per godere di un periodo di ferie, finalizzate al riposo psicofisico e al soddisfacimento di esigenze psicologiche fondamentali come la partecipazione alla vita familiare e sociale. Principale norma, in attuazione del dettato costituzionale, è la L. n. 66/2003 e nello specifico l’art.10 della stessa, ove si stabilisce un periodo minimo di ferie annue pari a 4 settimane, di cui due da godere entro l’anno di maturazione del diritto e due entro i successivi diciotto mesi. Il periodo di godimento delle ferie si intende subordinato all’approvazione del datore di lavoro. La programmazione delle ferie deve infatti contemperare da un lato le esigenze aziendali e dall’altro gli interessi personali del dipendente. Peraltro l’irrinunciabilità delle ferie le rende altresì non monetizzabili se non in specifiche circostanze, previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva.
Vengono di seguito elencati i casi menzionati dalla legge in cui è lecito monetizzare le ferie non godute:
- ferie eccedenti il periodo minimo di quattro settimane all’anno;
- ferie residue al momento della risoluzione del rapporto di lavoro;
- ferie non fruite in caso di contratto a tempo determinato di durata inferiore all’anno;
- lavoratori italiani inviati all’estero.
La disciplina stabilita dalla L. n. 66/2003 sancisce alcune eccezioni per la categoria dei dirigenti ai quali, in forza della loro posizione all’interno della struttura aziendale sono corrisposti un alto grado di professionalità e di conseguenza ampia autonomia, non si applicano le norme relative all’orario normale di lavoro, la durata massima dell’orario di lavoro, delle pause e del riposo giornaliero, pur sempre contemperando i limiti di ragionevolezza ai fini del rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e salute sul lavoro.
L’attività lavorativa delle figure apicali prevede la possibilità di svolgere più o meno ore durante la settimana, al fine di adattare l’orario di lavoro alle esigenze produttive dell’azienda, per questo motivo costoro hanno il potere di attribuirsi unilateralmente un periodo di ferie senza alcuna ingerenza del datore di lavoro. Ciò che invece accomuna il personale direttivo con quadri, impiegati e operai è proprio l’art.10, ovvero il divieto di monetizzare le ferie non godute in quanto diritto irrinunciabile.
Il caso
Il lavoratore, inquadrato con la qualifica di dirigente nella struttura complessa di anestesia, rianimazione, terapia iperbarica ed antalgica, chiedeva al giudice per mezzo del ricorso, il pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie, da parte dell’azienda ospedaliera per il quale prestava servizio, per le 258 giornate di ferie non fruite al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
La Corte Territoriale pur accertando la carenza di personale e il diritto alla monetizzazione delle ferie non godute sancito dalla contrattazione collettiva, riteneva non fondata la richiesta a seguito di un impegno del ricorrente a prestare l’attività finalizzata volta a garantire la continuità terapeutica. Il motivo del rigetto da parte del giudice risiede nel ruolo apicale ricoperto dal ricorrente, attraverso il quale avrebbe avuto i poteri per gestire in piena autonomia l’organizzazione delle ferie e di conseguenza avrebbe dovuto comunicare preventivamente la fruizione di un periodo di ferie.
La sentenza
La Corte di Cassazione, su ricorso del lavoratore, con sentenza n. 18140, ribalta la precedente sentenza valorizzando l’inadempienza del datore di lavoro in merito agli obblighi di informazione e pianificazione delle stesse sulla base della Direttiva 2003/88 del Parlamento Europeo concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro. Tale direttiva si pone in contrasto con la normativa nazionale secondo cui se il lavoratore non ha chiesto di poter esercitare il diritto alle ferie annuali, queste vengano perse al termine del rapporto di lavoro, senza verifica che il datore di lavoro lo abbia messo nelle condizioni di esercitare tale diritto.
La Corte di Giustizia Europea al fine di consentire al giudice nazione di interpretare la norma italiana mantenendo fissi i principi cardine stabiliti dalla Direttiva UE, stabilisce tre argomentazioni sul quale valutare se il datore di lavoro ha adempiuto agli obblighi di informazione e pianificazione, al fine di porre il lavoratore nelle condizioni di fruire di tale diritto:
- la necessità che il lavoratore sia invitato “se necessario formalmente” a fruire delle ferie e “nel contempo informandolo in modo accurato e in tempo utile” – ne consegue che la mancata fruizione di tali ferie comporterebbe la perdita delle stesse al termine del periodo di riferimento;
- la necessità di “evitare una situazione in cui l’onere di assicurarsi dell’esercizio effettivo del diritto alle ferie annuali retribuite sia interamente posto a carico del lavoratore”;
- attribuire l’onere della prova a carico del datore di lavoro che dovrà dimostrare tutta la diligenza necessaria tale da mettere nelle condizioni il lavoratore di fruire delle ferie.
Conclusioni
La sentenza in oggetto risulta interessante in quanto estende i principi comunitari sull’orario di lavoro e gli obblighi del datore di lavoro anche alle figure apicali, attribuendo anche a queste ultime maggiori tutele. Il tutto nonostante il consolidato principio nazionale, secondo cui, la mancata fruizione delle ferie da parte del dirigente non attribuisce il diritto al pagamento delle stesse, in forza del conclamato potere dirigenziale di organizzazione autonoma della propria attività lavorativa, senza ingerenza da parte del datore di lavoro.
In conclusione le ferie non fruite non genereranno automaticamente il diritto alla monetizzazione solo nel caso in cui il datore di lavoro, in possesso dei poteri di organizzazione aziendale, dimostri di aver messo il dirigente nelle condizioni di godere di detti periodi di riposo, attraverso un adeguata informazione e, se necessario, invitandolo formalmente a farlo, quale diritto fondamentale.
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