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Con l’ordinanza n. 6782 del 14 marzo 2024 la Suprema Corte di Cassazione è tornata sul tema del rapporto tra l’indennità sostitutiva del preavviso e il rifiuto da parte del datore di lavoro di usufruire della prestazione lavorativa del dipendente dimissionario, confermando che la Società, laddove decida di non avvalersi del preavviso lavorato, non è tenuta a corrispondere al lavoratore l’indennità sostitutiva dello stesso.

Non è la prima volta che la Corte di Cassazione si pronuncia in tal senso: già nel 2021 con l’ordinanza n. 2793 la Corte aveva stabilito la legittimità del comportamento della Società che esonerando il dipendente dimissionario dal periodo di preavviso, non aveva corrisposto la relativa indennità prevista dall’articolo 2118 del Codice Civile.

L’indennità sostitutiva del preavviso. Il caso

L’articolo 2118 del Codice Civile dispone infatti che, “in mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l’altra parte a un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso”.

Il caso in questione, ovvero il lavoratore che viene esonerato dalla prestazione lavorativa, costituisce una fattispecie idonea a configurare il caso descritto dal comma 2 dell’articolo 2118 del Codice Civile?

In sintesi, il datore che rifiuti lo svolgimento della prestazione lavorativa, è tenuto alla corresponsione dell’indennità sostitutiva del preavviso?

Sul tema vale la pena interrogarsi in merito alla ratio sottesa all’indennità sostitutiva del preavviso. In caso di licenziamento il preavviso ha infatti la funzione di garantire al lavoratore la percezione della retribuzione per un lasso di tempo, al fine di consentirgli il reperimento di una nuova occupazione. In caso di dimissioni del lavoratore, il preavviso ha la finalità di assicurare al datore di lavoro il tempo necessario ad operare la sostituzione del lavoratore recedente.

Concretamente, il preavviso ha la funzione di indennizzare temporalmente la parte che subisce il recesso. Nel caso di specie le dimissioni obbligano il lavoratore a offrire un lasso temporale “cuscinetto” all’azienda per riorganizzarsi. Se tale obbligo non venisse rispettato, è pacifica per la società la possibilità di poter procedere con la trattenuta a titolo di risarcimento del danno da mancata prestazione (a mezzo compensazione atecnica con le eventuali retribuzioni dovute per fine rapporto, anche fino a capienza completa con azzeramento del salario).

La sentenza della Cassazione del 14 marzo 2024

Nell’ordinanza n. 2793 del 2021, la Corte di Cassazione, attribuendo all’indennità sostitutiva del preavviso efficacia obbligatoria (come peraltro la giurisprudenza predominante), ammette altresì che la parte non recedente, che abbia rinunciato allo svolgimento del preavviso, nulla debba alla controparte.

La pronuncia del 14 marzo 2024, n. 6782 si muove in linea di continuità con quanto disposto dalla Corte nel 2021, ricalcando in modo quasi del tutto analogo sia la fattispecie che ha originato il ricorso che la conclusione adottata dalla Suprema Corte di Cassazione.

Nel caso del 2021, infatti, una lavoratrice dimissionaria, nonostante non avesse lavorato durante il periodo di preavviso, con ricorso a giudizio, aveva ottenuto il dirtto all’indennità sostitutiva in primo e in secondo grado.

La Corte di Cassazione, con posizione contraria rispetto a quella assunta da parte dei giudici di merito, sostiene che laddove la Società o il datore di lavoro rinuncino all’attività lavorativa svolta da parte del dipendente dimissionario durante il periodo di preavviso, non sussiste alcun obbligo di corresponsione della predetta indennità. Contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di primo e secondo grado, la Suprema Corte non individua un interesse giuridicamente tutelato per la prosecuzione del rapporto fino al termine del preavviso, posto che la dimissione rappresenta la manifestazione volontaria del lavoratore di porre fine al rapporto lavorativo.

Infatti, se da un lato è vero che la mancata erogazione dell’indennità sostitutiva del preavviso costituisce un minor introito nei confronti del lavoratore, è altresì vero, la medesima non pregiudica i diritti del lavoratore dimissionario per quanto attiene alle competenze maturate fino alla fine del rapporto di lavoro: retribuzione, ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità, ferie e permessi maturati e non goduti, Trattamento di Fine Rapporto.

Alcune considerazioni finali

Si ricorda in ogni caso che, in materia di preavviso, è necessario considerare anche i diversi orientamenti espressi dalla contrattazione collettiva di settore.

Ad esempio, il contratto collettivo Terziario Confcommercio, che di certo rappresenta uno dei più importanti e rappresentativi sul suolo nazionale, dispone che “su richiesta del dimissionario, il datore di lavoro può rinunciare al preavviso, facendo in tal caso cessare il rapporto prima della scadenza del preavviso […]”. Il c.c.n.l. dispone poi esplicitamente che “ove invece il datore di lavoro intende di sua iniziativa far cessare il rapporto prima della scadenza del preavviso, ne avrà facoltà, ma dovrà corrispondere al lavoratore l’indennità sostitutiva” contraddicendo in modo netto la pronuncia della Corte in trattazione.

C’è da chiedersi se dette previsioni possano far pendere l’ago della bilancia verso un interesse del lavoratore a vedersi comunque remunerato per le prestazioni offerte in preavviso. Difficilmente una clausola contrattuale potrà cambiare la natura giuridica del preavviso, oramai da ritenersi con efficacia obbligatoria e non reale. C’è anche da dire che previsioni di questa natura potrebbero essere interpretate nel senso che disciplinino un concetto di “retribuzione” o “elemento retributivo” tale da dovrebbe essere comunque rispettata.

Banalmente, non è tanto rilevante la “natura” giuridica del preavviso, quanto la previsione, ad esempio, del ccnl Terziario Confcommercio potrebbe statuire una retribuzione da rispettare in ogni caso.

Verificare caso per caso male non farà.

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