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Lo scorso 4 luglio 2023 è stata presentata la nuova proposta di legge per l’istituzione del salario minimo legale, a firma di alcuni deputati dell’opposizione tra i quali Conte, Fratoianni e Schlein, la quale, in sostanza, mira a stabilire un trattamento economico non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, valido per tutti i rapporti di lavoro, sia di tipo subordinato che per rapporti di lavoro diversi (con analoghe necessità di tutela).
La nuova proposta di Legge
Di per sé tale principio era già insito nella interpretazione dell’art 36 della nostra Carta Costituzionale, nonché indirettamente (per modo di dire) supportato da una moltitudine di disposizioni che richiamano l’applicazione della contrattazione comparativamente più rappresentativa (basti ricordare i requisiti di rilascio del c.d. durc interno). Il disposto normativo in discussione vorrebbe introdurre una soglia minima salariale inderogabile, fissata in 9 euro l’ora, la quale verrebbe applicata soltanto ai c.d. minimi, lasciando alla contrattazione collettiva la regolazione delle altre voci retributive.
Tale proposta prende vita per la necessità di contrastare il fenomeno del c.d. working poor, inteso come la crescita esponenziale di aree di lavoro in cui la retribuzione risulta essere insufficiente, generando così drammatici fenomeni di povertà.
Sul punto, i proponenti evidenziano come lo studio Benchmarking Working Europe 2020 condotto dalla Confederazione europea dei sindacati (ETUC), abbia rilevato in Italia, già antecedentemente alla crisi economico – sociale dovuta alla pandemia COVID-19, un sensibile aumento dei lavoratori esposti al rischio di povertà.
Secondo gli stessi, dunque, la misura più idonea a contrastare tale dumping salariale è la fissazione in via legislativa dei minimi salariali.
Tale fenomeno però ha portata non solo nazionale ma anche europea, tant’è che lo scorso anno è stata introdotta la direttiva (UE) 2022/2041, la quale però, non prescrive l’obbligo a introdurre un salario minimo per legge, nonostante lo stesso sia già previsto nella maggior parte degli Stati Membri dell’UE (ben n°21 su n°26), e nemmeno fissa un livello comune di salari minimi, bensì incentiva il criterio della contrattazione collettiva.
La direttiva in parola, infatti, asserisce che “qualora uno Stato sia al di sotto della quota del 80% dei lavoratori coperti da contrattazione collettiva, questo dovrà definire un piano di azione per promuovere la contrattazione o per arrivare alla definizione di un salario minimo”.
A tal proposito, un recente studio svolto dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ha evidenziato come l’Italia presenti un tasso di copertura contrattuale superiore a quello fissato dalla direttiva. Non solo: ha altresì rilevato come, a seguito dell’analisi di n°63 contratti collettivi selezionati tra i più rappresentativi, soltanto n°22 risultino al di sotto della soglia dei 9 euro, con livelli che oscillano tra gli 8 e gli 8,9 euro (comprensivi di mensilità aggiuntive, si intende).
Secondo questa ricerca il problema reale del nostro paese non risulterebbe essere la necessità di adeguare i minimi salariali, di cui storicamente si è fatta carico la contrattazione collettiva, ma piuttosto rafforzare maggiormente il rispetto di quest’ultima attraverso, per esempio, il potenziamento dell’attività ispettiva, arginando il dilagare dei c.d. contratti pirata.
Si tratta di contratti collettivi stipulati da associazioni datoriali e sindacati dei lavoratori dotati di scarsa o inesistente forza rappresentativa, i quali fissano condizioni economiche e normative evidentemente peggiorative per i lavoratori rispetto a quanto previsto dalla contrattazione comparativamente più rappresentativa, creando dannosi fenomeni di distorsione della concorrenza.
L’introduzione del salario minimo legale, quindi, secondo i proponenti sarebbe uno strumento di garanzia contro le condizioni contrattuali di sotto salario che sottraggono molti lavoratori alla copertura della contrattazione collettiva.
Sul tema però il dibattito è ampio. Se da un lato troviamo le opposizioni, fortemente convinte che tale manovra rappresenti una vera e propria esigenza, al fine di assicurare una retribuzione proporzionata e sufficiente, come previsto dall’art. 36 della Costituzione, dall’altro il Governo (supportato, che strano, dai Consulenti del lavoro) e anche le parti sociali sembrano mostrare una certa riluttanza.
Le ragioni sono state esposte dai CDL nel menzionato studio nel quale la Fondazione ha individuato una serie di “controindicazioni”, rispetto all’introduzione di detto salario minimo, di seguito descritte:
- La contrattazione collettiva verrebbe privata del proprio ruolo, tra cui quello di interprete e garante delle esigenze dei lavoratori rispetto ai differenti settori di appartenenza
- La previsione normativa risulterebbe limitata ed incompleta, in quanto ne rimarrebbero esclusi tutti quei lavoratori/collaboratori domestici che più faticano ad ottenere una retribuzione sufficiente e dignitosa
- Si determinerebbe un repentino aumento del costo del lavoro a carico azienda, il quale rischierebbe, con ogni probabilità, di mettere in crisi le stesse.
Pertanto, la soluzione proposta dai CDL, sostanzialmente, è quella di stabilire con norma positiva che il trattamento economico dovuto non sia complessivamente inferiore a quello previsto dal contratto collettivo comparativamente più rappresentativo in vigore presso il settore in cui il datore di lavoro presta la sua attività, oppure, in mancanza di questo, di far riferimento ai parametri retributivi contenuti nel ccnl maggiormente affine.
L’illusione ottica del salario minimo
Avete mai provato a guardare un film in 3d? In un tempo non tanto remoto, colti dalla curiosità, si era soliti farlo.
La proiezione in tri dimensione era facilmente aggirabile. Bastava chiudere un occhio per scorgere l’inganno di quella che veniva descritta come una “immersione visiva”. Proviamo anche noi, dunque, a chiudere un occhio dinnanzi alla tematica estiva del salario minimo.
Appare evidente che l’erogazione di almeno 9 euro l’ora (lordi), comprensivi di mensilità aggiuntive (almeno) non possa trovare ostacoli nella mente di chiunque. Maggiori salari significa maggior potere di acquisto, economia più vivace, maggiori contributi, aumento del benessere, contrasto alla povertà, etc. Perché dunque opporsi?
Perché forse il salario minimo è una illusione:
- Le parti sociali non sembrano accettare la soglia minima imposta dalla norma. Significherebbe limitare la contrattazione collettiva dato che introdurre 9 euro ora porterebbe a drenare ogni risorsa verso la retribuzione, lasciando un vuoto cosmico per maternità, malattie (carenze), permessi, previdenza complementare, etc
- Parte dell’imprenditoria, quella lambita dalla norma (perché vi sono settori in cui il salario minimo è già abbondantemente superato) avrebbe difficoltà nel recepimento della normativa. Pensiamo al livellamento automatico delle professionalità (categorie basilari andrebbero a percepire come categorie intermedie al di là della professionalità) o alla distruzione di politiche retributive interne alle aziende (non vi è solo il salario ma anche i sistemi di welfare ad esempio)
- Il dibattito sul salario minimo è illusorio anche per la classe dirigenziale del paese. L’attuale Governo è ben conscio di non poter permettersi un salario minimo a 9 euro che verrebbe introdotto in ogni appalto pubblico (pensiamo al sanitario, alla ristorazione collettiva, alle pulizie) imponendo agli appaltatori un costo del lavoro che si riverserebbe sui capitolati di appalti statali (che già fanno fatica a riconoscere gli aumenti ISTAT). Forse, lo scopriremo, anche l’opposizione è consapevole che il salario minimo porterebbe a costi per la collettività che non possiamo, in questa fase, permetterci. Come sempre si deve conoscere la complessità di un sistema per poter proporre una soluzione (che difficilmente sarà semplice).
Il fenomeno illusorio viene dunque svelato dai famosi 60 giorni entro i quali, grazie anche alla delega fiscale, si proporranno misure per ridurre l’eterno nemico nazionale ossia il cuneo fiscale. Riduzioni di aliquote (chissà per quanto tempo) detassazioni come se piovesse, impasti normativi per quei pochi ingredienti a nostra disposizione (risorse) saranno all’ordine del giorno. Tutto per evitare il salario minimo che, semplicemente, per quanto pacificamente ragionevole, potrebbe non essere una soluzione altrettanto semplice.