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A distanza di circa tre mesi dall’entrata in vigore della Legge di conversione n. 85/2023, con circolare n. 9 del 9 ottobre 2023 il Ministero del Lavoro ha fornito chiarimenti in merito alle modifiche apportate in materia di contratti a termine dal Decreto Lavoro (D.L. n°48/2023). I chiarimenti segnalati dal Ministero necessitano di alcune spiegazioni, anche se, è bene precisarlo, si tratta di una circolare che non assume alcun valore per l’interprete (Magistrato). In effetti alcune letture del Dicastero non sembrano in linea con il tenore normativo.
Sin da subito deve rilevarsi come il Ministero, nell’esaminare le modifiche apportate al D.Lgs. 81/2015, rammenta che il D.L. 48/2023 ha lasciato invariati:
- il limite massimo di durata dei rapporti di lavoro a termine intercorrenti tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore;
- il numero massimo delle proroghe consentite;
- la disciplina dello stop & go.
Le novità introdotte dal Decreto Lavoro. Le “condizioni” del contratto di lavoro a termine
La Circolare si appresta sin da subito a riassumere quelle che sono le nuove “condizioni” che legittimano la stipula di contratti a termine, individuate dall’art. 19, comma 1, D.Lgs. 81/2015, confermando come la riforma abbia effettivamente esaltato il ruolo della contrattazione collettiva e dell’autonomia delle parti. Si ricordano, infatti:
- casi previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del D.Lgs. 81/2015 (contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria);
- in assenza delle previsioni di cui al capoverso che precede, le condizioni (gergalmente causali) possono essere individuate “nei contratti collettivi applicati in azienda”. Qui il Ministero evidenzia una opinione “non letterale” dato che richiama, cosa che la norma di legge non effettua, un ulteriore rimando all’articolo 51 del D.Lgs. n°81/2015, volendo sottolineare che la contrattazione collettiva che può istituire condizioni applicabili, deve sempre essere quella maggiormente rappresentativa. In realtà la norma, nella sua dizione letterale, sembra escludere nella lettera b) il richiamo all’articolo 51, dato che lo stesso è presente solo nella lettera a) e “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a” troverà applicabile la subordinata b) che non richiama (né logicamente potrebbe) il predetto articolo 51. Il motivo appare evidentemente storico. La guerra al Salario minimo è stata incentrata sull’esistenza di contratti c.d. “pirata” che, quindi devono trovare un qualche ostruzione da parte del Governo. Come potrebbe il Dicastero legittimare l’apposizione di causali rimesse a contratti collettivi non articolo 51 D.Lgs. 81/2015?
- proseguendo, la norma riferisce “e comunque entro il 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti”. La data del 30 aprile 2024, precisa la circolare, deve riferirsi al momento della stipula del contratto la cui durata potrà anche andare oltre alla data stessa;
- da ultimo citiamo la sostituzione di altri lavoratori. Sottolineando come la mera formulazione letterale sia differente rispetto alla precedente espressione, la circolare precisa come resti fermo l’onere, per il datore di lavoro, di precisare nel contratto le ragioni concrete ed effettive della sostituzione.
La circolare in oggetto chiarisce poi la tematica relativa alla gestione della contrattazione collettiva stipulata in precedenza rispetto alla disciplina del Decreto Lavoro. Di seguito le soluzioni proposte:
- ipotesi di rinvio, nella contrattazione collettiva, alle fattispecie legali “superate” dalla nuova disciplina introdotta dal Decreto Lavoro: si potrà ricorrere ai contratti collettivi applicati in azienda ovvero, solo fino al 30 aprile 2024, all’autonomia delle parti;
- nel caso in cui nei contratti collettivi siano presenti causali introdotte in attuazione della lettera b-bis) dell’art. 19 (introdotta dal Decreto Sostegni-bis): la disciplina ivi prevista rimane valida;
- restano altresì utilizzabili le causali introdotte da qualsiasi livello della contrattazione collettiva, purché non si limitino a un mero rinvio alle fattispecie legali di cui alla previgente disciplina.
Allineamento di proroghe e rinnovi
Sul punto si ricorda come, ai sensi del comma 01 dell’art. 21 del D.Lgs. 81/2015, la conversione in legge del Decreto Lavoro abbia allineato la disciplina di proroghe e rinnovi nella parte in cui viene previsto che, nei primi dodici mesi, possano intervenire liberamente senza obbligo di specificare alcuna condizione (mentre in precedenza, si ricorda, il rinnovo di un contratto inferiore a 12 mesi necessitava di causale).
Contratti a termine prima e dopo il 5 maggio 2023
Il chiarimento chiave fornito dalla circolare in trattazione riguarda uno dei nodi cruciali delle modifiche apportate dal Decreto Lavoro, ossia la previsione di cui al comma 1-ter dell’art. 24 del decreto in trattazione: “Ai fini del computo del termine di dodici mesi previsto dall’articolo 19, comma 1, e all’articolo 21, comma 01, del decreto legislativo n. 81 del 2015, come modificati dai commi 1 e 1-bis del presente articolo, si tiene conto dei soli contratti stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto."
Tale previsione dispone, quindi, che ai fini del raggiungimento del limite massimo dei 12 mesi individuato dall’articolo 19 comma 1, (ossia le nuove condizioni per la stipulazione di un contratto a termine) e all’articolo 21, comma 01 (il “nuovo” regime del rinnovo che consente la a-causalità nei primi 12 mesi) si debba tenere conto solamente dei contratti stipulatidal 5 maggio 2023 (data di entrata in vigore del DL 48/2023).
Sin dal primo momento tale previsione ha dato adito a diverse interpretazioni, data la possibile manifestazione di casistiche non chiare che avrebbero potuto portare (o, loro malgrado, hanno portato) ad una gestione erronea della tipologia contrattuale in esame.
I principali dubbi interpretativi riguardavano infatti l’eventuale conteggio dei contratti a cavallo del 5 maggio 2023. Il Ministero del Lavoro fornisce un’interpretazione che sembrerebbe andare incontro alla volontà del legislatore di consentire un ricorso ai contratti a termine più “libero”.
La circolare identifica, come già la norma, il 5 maggio 2023 come data spartiacque per l’applicazione della dibattuta norma.
Preliminarmente, però, risulta utile riportare l’interpretazione che viene data all’espressione “contratti stipulati” di cui al comma 1-ter. Secondo il Ministero del Lavoro, tale espressione deve riferirsi sia ai rinnovi di precedenti contratti di lavoro a tempo determinato che alle proroghe di contratti già in essere.
Chiarito quanto sopra, possono concretizzarsi due diversi scenari:
- ante 5 maggio 2023: eventuali rapporti di lavoro a termine intercorsi tra le stesse parti in forza di contratti stipulati prima del 5 maggio non concorrono al raggiungimento del termine di 12 mesi entro il quale viene consentito il ricorso al contratto a termine. In altre parole, dal 5 maggio 2023 viene azzerato il conteggio per i nuovi contratti stipulati;
- post 5 maggio 2023: i datori di lavoro posso liberamente fare ricorso al contratto di lavoro a termine per un ulteriore periodo (massimo) di dodici mesi, senza necessità di ricorrere alle condizioni previste dall’art. 19, indipendentemente da eventuali rapporti già intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso dipendente in forza di contratti stipulati prima del 5 maggio 2023. Resta ferma la durata massima prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva.
Di seguito un esempio di “contratto stipulato” in data posteriore al 5 maggio 2023:
- rapporto di lavoro a termine instaurato il 01/02/2023;
- scadenza del contratto 31/05/2023;
- il contratto potrà essere prorogato/rinnovato senza causale (“liberamente”) per ulteriori 12 mesi.
Nell’ipotesi diversa in cui post 5 maggio le parti abbiano già rinnovato o prorogato un rapporto di lavoro a tempo determinato per ulteriori sei mesi, le stesse potranno ricorrere al contratto a termine solo limitatamente per un periodo di tempo non superiore a 6 mesi.
In sintesi: si equipara la proroga, non citata letteralmente nella norma, al rinnovo post 05 maggio 2023. Il che può, forse, essere condivisibile nella a causalità. Ma se la proroga di quel contratto in esempio fosse con causale, per quale motivo tale atto lederebbe la successiva a causalità di rinnovo?
Somministrazione di lavoro
Il Decreto Lavoro, oltre al contratto di lavoro a tempo determinato, ha apportato delle leggere modifiche alla somministrazione a tempo indeterminato. Nello specifico, il comma 1-quater ha modificato l’articolo 31, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2015 sulla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato prevedendo alcune esclusioni ai fini del rispetto del limite del 20%, previsto dal primo periodo del comma 1.
Non rilevano infatti, per tale computo, i lavoratori somministrati assunti dall’agenzia di somministrazione con contratto di apprendistato.
La norma esclude, inoltre, l’applicabilità di limiti quantitativi per la somministrazione a tempo indeterminato di alcune categorie di lavoratori, tassativamente individuate, tra cui i soggetti disoccupati che fruiscono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali, i lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati.