22 marzo 2022
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È legittimo il licenziamento per giusta causa del manager, lo ha dichiarato la Corte di Cassazione lo scorso gennaio.
Nel caso affrontato dalla suprema corte, il manager aveva adottato comportamenti rilevanti a fini disciplinari, quali: l’utilizzo promiscuo dell’automobile aziendale, atti di insubordinazione dimostrata nei confronti dei superiori gerarchici, reiterati ritardi, lo svolgimento di attività extra-lavorative durante il regolare orario di lavoro e, tra le altre, l’essersi recato presso un esercizio commerciale terzo – del quale era socio – per poi commercializzarne i prodotti sul luogo di lavoro.
Vediamo le considerazioni e l’iter seguito dalla suprema corte nel rilasciare la propria decisione.
Corte di Cassazione, Sez. lavoro, Ord. 30.01.2022, nr. 2870
Il caso
La vicenda ha preso avvio nel 2008 il 19 dicembre 2008, quando la Corte di Appello di Roma ha convertito in licenziamento per giustificato motivo soggettivo il recesso per giusta causa intimato dalla F. S.p.A. a G.S., dipendente occupato presso la società come impiegato di settimo livello, con mansioni afferenti all’Area Manager. Le ragioni sottese alla decisione da parte della F. S.p.A. erano correlate a un generale calo della produttività e a diversi avvenimenti di natura e rilievo disciplinare come:
- l’aver portato sul luogo di lavoro capi di biancheria intima (prodotti dalla S.r.l. M, della quale il Manager era socio) per poi commercializzarli sul posto di lavoro (nonostante tale avvenimento non sia stato debitamente provato, ma solo oggetto di diverse testimonianze);
- l’aver abbandonato il luogo di lavoro durante il regolare orario lavorativo per recarsi presso la sopracitata s.r.l.;
- l’aver ripetutamente timbrato il cartellino oltre le ore 09.30 (ordinario orario di ingresso), evento reiterato per un totale di 13 giorni, compressi tra l’11 e il 28 novembre 2008 e
- l’aver risposto ad un’e-mail di un superiore gerarchico rifiutandosi, per altro immotivatamente, di uniformarsi alle direttive impartite (dimostrando così un comportamento gravemente insubordinato).
In un primo momento il provvedimento adottato dalla società è stato ritenuto illegittimo. Infatti, sebbene i giudici d’appello avessero ritenuto provato lo svolgimento di attività extra-lavorativa durante il regolare orario di lavoro, riconoscendo dunque la fattispecie dell’illecito disciplinare, avevano al contempo escluso che la condotta evidenziata fosse di gravità tale da giustificare il recesso da parte della F. S.p.A.
Questo in ragione del fatto che «la ridotta portata temporale della violazione accertata, da rapportarsi all’orario flessibile e alle mansioni mobili di impiego direttivo» richiedevano «la regolare presenza presso agenzie e sedi della società dislocate sul territorio, con conseguente frequente e necessitata mobilità».
Posto che, come anticipato, la commercializzazione dei prodotti (nel caso in questione si trattava di prodotti di biancheria intima) non possa considerarsi come adeguatamente provata, la Corte affermava invero come la costituzione di una società commerciale, per la gestione di un punto di vendita al dettaglio di capi di abbagliamento, non costituisce di per sé illecito disciplinare. Questa considerazione, considerata congiuntamente alla maggiore flessibilità e autonomia collegata alla figura del ruolo dirigenziale – anche in tema di gestione degli orari – è stato inizialmente ritenuto dalla Corte come motivo insufficiente affinché la società potesse ricorrere al licenziamento intimato per giusta causa del dipendente.
Si ricorda che, nella fattispecie della giusta causa, rientrano quei comportamenti che, in ragione della loro gravità, determinano l’immediata necessità per la parte datoriale di risolvere il rapporto di lavoro, risultando infatti insufficiente qualunque sanzione conservativa.
Tuttavia, se è vero che al ruolo di Manager è spesso affiancata una maggiore flessibilità in termini di gestione degli orari, è altresì ragionevole che, proprio in ragione dell’incarico ricoperto dal soggetto, quale figura di natura dirigenziale, sia richiesto un vincolo fiduciario rafforzato e più stringente rispetto a quanto avviene per i lavoratori di rango inferiore. Il tutto anche in ragione del fatto che il Manager, per la qualifica posseduta e il ruolo ricoperto, non è direttamente e continuamente sottoposto al controllo datoriale.
La Suprema Corte ha inoltre puntualizzato come l’obbligo di fedeltà si estenda anche a tutto ciò che potrebbe anche solo astrattamente ledere l’interesse aziendale e “lo svolgimento di attività extra lavorativa durante l’orario di lavoro, seppure in un settore non interferente con quello curato dal datore di lavoro, è astrattamente idoneo a ledere gli interessi di quest’ultimo se non altro perché le energie lavorative del prestatore vengono distolte ad altri fini e, quindi, finisce per non essere giustificata la retribuzione che, in relazione alla parte commisurata alla attività non resa, costituisce per il datore un danno economico o per il lavoratore un profitto ingiusto”.
È a questo proposito interessante richiamare quanto affermato dalla Corte di Cassazione nel 2017: la lesione del vincolo fiduciario pone in “dubbio la correttezza del futuro adempimento e a tal fine rilevano le modalità della prestazioni richiesta al dipendente, nel senso che ove questa si svolga al di fuori della diretta osservazione e del controllo da parte del datore di lavoro, è maggiore l’affidamento che quest’ultimo deve poter riporre nella correttezza e nella buona fede del lavoratore”.
Ciò considerato, congiuntamente al danno economico provocato al datore di lavoro, per la quota di retribuzione corrisposta nel frangente temporale in cui il manager era impiegato in attività extra-lavorative, è stato ritenuto irrimediabilmente violato il vincolo fiduciario tra G.S. e la F. S.p.A., e, dunque la fattispecie è stata ricondotta al recesso per giusta causa. Quest’ultima espressione, identifica i comportamenti e gli avvenimenti che, in ragione della loro gravità, comportano l’immediata necessità per la parte datoriale di risolvere il rapporto di lavoro, risultando insufficiente qualunque sanzione conservativa.
L’intervento della Corte di Cassazione: l’ordinanza 31.01.2022
La Corte di Cassazione è stata innanzitutto chiamata a pronunciarsi in data 31.01.2022, con ordinanza nr. 2870, relativamente alle motivazioni addotte a fondamento per il ricorso:
- in primo luogo il mancato nesso causale tra la condotta tenuta dal Manager e la correlata rottura del vincolo fiduciario;
- in secondo luogo la violazione degli articoli 363 cod. proc. civ. e 2015, 1376, 1176 c.c.
In merito alla mancata o insufficiente motivazione si rendono necessarie due precisazioni:
a. innanzitutto, qualora il nesso causale sia ritenuto inadatto, spetta alla parte ricorrente allegare in modo esaustivo e dettagliato il fatto storico avvenuto o, in altri termini, provare l’importanza che questo dovrebbe avere ai fini decisionali (Cass. n. 13578 del 02.02.2020) e,
b. secondariamente, la Corte ritiene che la motivazione adotta nel caso di specie non possa ad ogni modo configurarsi come vizio così radicale da comportare la nullità della sentenza e, anzi, che quanto prodotto sia considerarsi come esaustivo e sufficiente per provare come i comportamenti tenuti dal Manager costituiscano presupposto logico e coerente con la rottura del vicolo fiduciario.
In particolare, come sottolineato anche dalla stessa Corte nel 2017: “nel caso di specie la F. s.p.a. ha richiamato nella parte introduttiva del ricorso: gli atti rilevanti del procedimento disciplinare (contestazione, giustificazione e lettera di licenziamento); le conclusioni rassegnate dalle parti nel giudizio di primo grado e la motivazione della sentenza del Tribunale, che aveva convertito il recesso per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo; le ragioni per le quali quest’ultima era stata riformata dalla Corte territoriale, ragioni che sono state ulteriormente precisate e analizzate nello svolgimento dei motivi”.
Infatti, la Corte ha ampiamente individuato quali elementi focali dell’analisi i principi di correttezza, buona fede e autonomia che, in ragione dell’incarico ricoperto dal Manager, dovevano ritenersi come maggiormente onerosi rispetto a quanto ordinariamente richiesto alle figure non dirigenziali e la, conseguente, rottura dei vincolo fiduciario causata dalla condotta tenuta dal Manager (basata sull’utilizzo promiscuo dell’auto aziendale – il quale era concesso solamente al di fuori degli orari lavorativi –, sullo svolgimento di attività extra-lavorative in orario di lavoro – legate, per altro, alla gestione della s.r.l. di cui il soggetto era socio, sui comportamenti insubordinati tenuti nei confronti dei superiori gerarchici e sui reiterati ritardi di ingresso).
Si ricorda come il vincolo fiduciario tra il Manager e la parte datoriale non costituisca un elemento accessorio allo svolgimento dell’attività lavorativa, ma sia un elemento fondante e necessario per il regolare proseguo del rapporto di lavoro.
Relativamente alla seconda motivazione addotta dal ricorrente, questa solleva questioni che risultano del tutto estranee ai contenuti della sentenza impugnata, quali:
- l’illegittimità dell’investigazione svolta;
- l’inattendibilità della testimonianza del medesimo;
- il fatto che la condotta del dipendente non sia stata esaminata secondo i criteri prescritti;
- nonché l’insufficiente gravità del comportamento tenuto dal Manager in relazione all’esercizio di recesso da parte della società.
Tuttavia, tali motivazioni attengono a giudizi di merito e, in quanto tali, non suscettibili di revisione in sede di legittimità (entro il confine disposto dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., che definisce “le sentenze impugnabili e i motivi di ricorso”).
Conclusioni
Riassumendo quanto sopra esposto, la Corte conclude affermando l’inammissibilità del ricorso per cassazione, poiché, sulla scorta della insussistenza di motivazione e dell’omesso e insufficiente esame dei fatti avvenuti, l’intenzione del ricorrente era in realtà ottenere una rivalutazione di merito di quanto accaduto, che esula dalla competenza dalla sede in questione.
Il licenziamento è stato d’altro canto ritenuto legittimo in quanto correttamente ascrivibile alla fattispecie del licenziamento per giusta causa, ovvero a quella particolare tipologia di recesso dal rapporto di lavoro nella quale, in ragione del comportamento tenuto dal dipendente – idoneo a rompere il vincolo di fiducia che deve fisiologicamente legare il lavoratore e il datore di lavoro, a maggior ragione quando il dipendente ricopre una qualifica manageriale – non è possibile nemmeno la temporanea prosecuzione della prestazione lavorativa.
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