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08 marzo 2022

Tempo di lettura 5 m.

Con la sentenza emessa il 13.01.2022, nella causa C-154/20, la Corte di Giustizia ha disposto l’irrinunciabilità del diritto alle ferie quale principio cardine del diritto sociale Europeo volto ad assicurare una tutela efficace della salute e della sicurezza dei lavoratori. 

La controversia in oggetto prendeva piede dall’istanza di un dipendente di una società tedesca tesa ad ottenere dell’azienda datrice di lavoro il versamento di un supplemento della somma dovuta per lavoro straordinario in considerazione dei giorni di ferie fruiti durante l’anno. Il contratto collettivo applicato dalla società, nel caso in trattazione, prevedeva che ai fini della determinazione degli aumenti retributivi dovuti per lavoro straordinario, si tenessero in considerazione solamente le ore di lavoro prestato, escludendo dal computo le ore fruite dal prestatore di lavoro a titolo di ferie annuali retribuite.  Precisamente, in forza dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, «gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane», e dell’art 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la Corte ha ribadito che il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva 2003/88. 

Il Caso

Nel dettaglio la causa promossa riguardava un lavoratore a tempo pieno che, durante il mese di agosto 2017, comprensivo di 23 giorni lavorativi in totale, aveva lavorato 121,75 ore durante i primi 13 giorni e poi aveva preso ferie retribuite nei restanti 10 giorni, corrispondenti a 84,7 ore di lavoro. Il lavoratore, ritenendo che i giorni di ferie annuali retribuite dovessero essere presi in considerazione per determinare il numero di ore lavorate, porto la questione davanti ai tribunali tedeschi al fine di ottenere la condanna dell’azienda, al versamento di un supplemento pari al 25% per 22,45 ore, cioè 72,32 euro, corrispondente al volume di ore lavorate oltre la soglia delle 184 ore.

La posizione della Corte di Giustizia

Rilevata la questione, il Tribunale tedesco rimetteva alla Corte di Giustizia la definizione dell’eventuale contrarietà della succitata disposizione nazionale ai precetti comunitari.  In particolare il giudice di rinvio chiedeva alla Corte di Giustizia UE «Se l’articolo 31, paragrafo 2, della [Carta] e l’articolo 7 della direttiva [2003/88] ostino a una disposizione di un contratto collettivo la quale, ai fini del calcolo se e per quante ore un lavoratore abbia diritto ad aumenti per il lavoro straordinario, tenga unicamente conto delle ore effettivamente prestate, ad esclusione delle ore fruite dal lavoratore a titolo di ferie annuali minime retribuite». La Corte di Giustizia ribadiva l’importanza del diritto alle ferie annuali, sancito dall’Art. 7 della direttiva Europea n. 88/2003, che racchiude una duplice finalità, consentire al lavoratore di recuperare le energie psicofisiche infuse nello svolgimento della mansione da lui svolta in forza del contratto di lavoro, da un lato, e di beneficiare un periodo ricreativo nel quale può sviluppare relazioni sociali, dall’altro. Tali finalità si pone inoltre anche nell’interesse aziendale di protezione effettiva della salute e della sicurezza del lavoratore. In tale ottica, la previsione del contratto collettivo applicato dalla Società, racchiuderebbe un incentivo alla rinuncia del congedo di riposo al fine di beneficiare di un aumento retributivo delle ore straordinarie prestate. La Corte ritiene incompatibile con la finalità comunitaria, qualsiasi azione o omissione datoriale avente un effetto potenzialmente dissuasivo sulla fruizione di ferie annuali da parte del lavoratore. Pertanto, la Corte di Giustizia sulla base del combinato disposto dalla direttiva n. 88/2003 e del principio di diritto sociale espressamente sancito all’art 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dichiara incompatibile la previsione del contratto collettivo che, per determinare se sia stata raggiunta la soglia di ore lavorate che dà diritto ad un aumento retributivo del lavoro straordinario, non tenga in considerazione le ore corrispondenti al periodo di ferie annuali retribuite.

La disciplina delle ferie nelle fonti italiane

Le ferie sono disciplinate da diverse e coesistenti fonti normative. Il principio più rilevante viene fissato dall’art. 36, c.3, della Costituzione, che prevede il diritto irrinunciabile del lavoratore ad un periodo di congedo annuale retribuito. Il riposo annuale è preposto al recupero psico-fisico delle energie lavorative del prestatore di lavoro, allo sviluppo delle relazioni sociali, culturali e della personalità dell’individuo, nell’interesse dello stesso datore di lavoro circa il ristoro dalla tensione fisica da parte del proprio personale, per una successiva migliore resa produttiva. Ad arricchire il dettato costituzionale è stato emanato il D.Lgs. 66/2003, il quale recependo la direttiva europea n. 88/2003, dà attuazione alla previsione comunitaria, assicurando un’applicazione uniforme della disciplina relativa all’organizzazione dell’orario di lavoro su tutto il territorio nazionale.   La direttiva, all’articolo 7, disciplina l’impegno da parte degli Stati membri di prevedere misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, e che tale congedo non possa essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro.  Invero, la nuova disciplina recepita nell’ordinamento interno stabilisce come il periodo di ferie non possa essere oggetto di rinuncia del lavoratore e come leggeremo, non può, salvo eccezioni, essere indennizzato dall’azienda. Oltre alle previsioni legali, anche la contrattazione collettiva – sia essa nazionale, territoriale o aziendale – ricopre un ruolo di primaria importanza nella regolamentazione dell’istituto. Infatti, viene fatta salva l’autonomia negoziale dei contratti collettivi, laddove stabiliscano condizioni di miglior favore per i lavoratori. Vediamo alcuni esempi. Il Contratto Collettivo del Terziario Confcommercio prevede una maturazione di 26 giorni lavorativi di ferie all’anno qualora il lavoro sia distribuito in una settimana di 6 giorni. Le ferie potranno essere frazionate in non più di due periodi. Il Contratto Collettivo Metalmeccanica Industria prevede differenti periodi di ferie utilizzando come parametro l’anzianità di servizio: -Anzianità fino a 10 anni compiuti: periodo di ferie pari a 4 settimane; -Anzianità oltre i 10 anni e fino ai 18 compiuti: periodo di ferie pari a 4 settimane + un giorno; -Anzianità oltre i 18 anni compiuti: periodo 5 settimane. Ogni settimana dovrà essere ragguagliata a 5, ovvero a 6, giorni lavorativi, a seconda che la distribuzione del normale orario di lavoro settimanale sia rispettivamente su settimana lunga o corta. Il periodo di ferie consecutive e collettive non potrà eccedere le tre settimane.

Il divieto di monetizzazione delle ferie e le sanzioni

La caratteristica delle ferie è quella di essere, per espressa previsione costituzionale, un diritto irrinunciabile del lavoratore e, pertanto, è da considerarsi nullo qualsiasi patto volto a contrastare tale irrinunciabilità. Fermo restando questo principio generale, è possibile trovare alcune eccezioni:

  • In caso di ferie residue al momento della cessazione del rapporto di lavoro, queste dovranno essere indennizzate;
  • Qualora venga stipulato un contratto a tempo determinato che preveda una durata temporale inferiore ad un anno, il lavoratore potrà decidere di non godere delle ferie, chiedendo la corresponsione dell’indennità al momento della scadenza del contratto;
  • Quando i contratti collettivi prevedono un periodo di ferie che supera le quattro settimane legali, il dipendente potrà chiedere su tali periodi aggiuntivi non goduti un’indennità sostitutiva;
  • Nel caso di lavoratore distaccato all’estero è possibile erogare l’indennità sostitutiva per ferie non godute, se il distacco comporta una complessiva rideterminazione delle condizioni economiche e normative del rapporto di lavoro, in funzione del Paese di destinazione e della durata del rapporto all’estero. In tal caso, infatti, la complessiva rinegoziazione delle condizioni economiche e normative del rapporto di lavoro determina una situazione assimilabile alla risoluzione del rapporto, in quanto si instaura un regime contrattuale nuovo che legittima la sostituzione delle ferie con la relativa indennità

Peraltro, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l’azienda è tenuta all’obbligo contributivo sul periodo di ferie non godute. La Suprema Corte, motivando la posizione, afferma che l’indennità sostitutiva per ferie non godute è soggetta a contribuzione Inps in ragione del suo carattere “retributivo”, essendo legata a periodi in cui il dipendente avrebbe dovuto essere collocato in riposo, anziché prestare attività lavorativa. Quand’anche l’indennità avesse carattere risarcitorio la stessa sarebbe comunque assoggettata a contribuzione essendo un’attribuzione patrimoniale in favore del dipendente, legata al rapporto di lavoro.

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