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L’Agenzia delle Entrate con l’interpello 158 del 25 marzo 2022 fornisce chiarimenti in merito al regime fiscale degli sconti concessi dal datore di lavoro ai propri dipendenti.

Il caso concreto vede la società Istante, la quale si occupa di retail, concedere ai propri dipendenti l’acquisto di beni commercializzati ad un prezzo scontato rispetto al prezzo di vendita ordinariamente praticato, sostenendo che il regime fiscale di tale diminuzione debba considerarsi “sconto d’uso” e pertanto essere esclusa dalla base imponibile del reddito da lavoro dipendente.

Vediamo insieme quali sono i principi alla base del reddito da lavoro, sulla base delle disposizioni del TUIR, e qual è l’opinione espressa dall’Agenzia delle Entrate.

Determinazione del reddito da lavoro dipendente

La disciplina generale dei redditi da lavoro dipendente è contenuta all’interno del Decreto Presidenziale n. 917 del 1986, anche conosciuto come Testo Unico delle Imposte sui Redditi (di seguito TUIR). Preliminarmente, l’articolo 49, definisce redditi da lavoro dipendente quelli derivanti da “rapporti aventi ad oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri…”.

La definizione tributaria utilizza la stessa formula adoperata dall’articolo 2094 c.c., il quale definisce lavoratore subordinato colui che presta la propria opera “alle dipendenze e sotto la direzione” dell’imprenditore. Nonostante non vi sia un rinvio espresso tra le due definizioni, il sinallagma appare evidente: il legislatore riconosce nel rapporto di lavoro subordinato la principale origine dei redditi da lavoro dipendente, ma non l’unica. Infatti, all’articolo 50 del TUIR viene riconosciuta una categoria di redditi assimilati al lavoro dipendenti tra i quali rientrano – a titolo esemplificativo – i redditi derivanti da le collaborazioni coordinate e continuative, le borse di studio e i primi corrisposti per fini di studio ovvero le somme percepite per l’attività di amministratore, sindaco o revisore di società con o senza personalità giuridica.

Dopo aver delineato l’origine, il legislatore, all’articolo 51, indica la determinazione del reddito da lavoro dipendente, il quale è costituito “da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”. Viene identificato in questa definizione il principio di onnicomprensività del reddito da lavoro dipendente, in base al quale tutto ciò che viene percepito dal lavoratore, in costanza del rapporto di lavoro, rientra nel reddito di lavoro dipendente, anche qualora non vi sia un nesso diretto tra effettività della prestazione di lavoro reso e le somme e/o i valori percepiti.

Ai fini della determinazione del reddito da lavoro dipendente, con riferimento a ciascun anno solare, è necessario seguire la regola generale del principio di cassa allargato: si prende in considerazione l’effettiva manifestazione finanziaria, ovvero la concreta percezione del compenso. Viene definito “allargato” in quanto si considera reddito da lavoro dipendente anche la retribuzione maturata a dicembre e pagata nel nuovo anno entro il giorno 12 gennaio. Tale deroga è volta soprattutto a facilitare i conteggi del complessivo annuale.

A definizione dei compensi imponibili intervengono numerose disposizioni contenute nell’articolo 51, lettere a-f, del TUIR, che escludono dal reddito varie erogazioni, con finalità agevolativa. Tra di esse ricordiamo le opere o i servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti, per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.

Tali agevolazioni possono favorire i piani di welfare i quali possono essere definiti come l’insieme di beni e servizi che un’azienda concede sulla base di un accordo con le rappresentanze sindacali, oppure in virtù di una scelta unilaterale, in favore dei propri dipendenti per soddisfare alcuni bisogni di carattere extra lavorativo. Di regola i beni e servizi oggetto di welfare sono quelli identificati dall’articolo 51 del T.U.I.R., per i quali vi sia espressamente indicata l’esclusione dalla nozione di retribuzione imponibile.  

Le disposizioni fiscali agevolative in tema di redditi di lavoro dipendente cercano di sottoscrivere il beneficio sotto l’aspetto oggettivo e sotto l’aspetto soggettivo. Per quanto riguarda l’aspetto oggettivo, come abbiamo visto, vengono definiti i beni ed i servizi che possono essere oggetto di welfare. Nella definizione dell’aspetto soggettivo è necessario che i benefici siano messi a disposizione della generalità dei dipendenti o di categorie di questi. Al riguardo, è stato più volte chiarito che il legislatore, a prescindere dall’utilizzo dell’espressione «alla generalità dei dipendenti» oppure «a categorie di dipendenti», non riconosce l’applicazione del beneficio qualora somme, beni e servizi siano erogati ad personam.

Tra i servizi che non rientrano all’interno del reddito da lavoro dipendente, possono essere messi a disposizione dal datore di lavoro:

  • Servizi di trasporto collettivo;
  • Servizi per familiari anziani e non autosufficienti;
  • Servizi di mense aziendali o ticket restaurant;
  • Ulteriori beni e servizi di valore non superiore a 258,23 euro.

Questi ultimi, anche conosciuti come fringe benefits, sono disciplinati all’art. 51, comma 3-bis, il quale stabilisce che “l’erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi da parte del datore di lavoro può avvenire mediante documenti di legittimazione, in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale”, i quali non possano essere monetizzati o ceduti a terzi. Essi, pertanto, sono compensi che non vengono offerti in denaro ma tramite beni o servizi, i quali vengono riconosciuti al fine di integrare la retribuzione o per incentivare una maggiore produttività.

Tali benefici sono stimati al loro “valore normale”, il quale fa riferimento:

– ai listini o tariffe del soggetto che ha fornito i beni o servizi, e, in mancanza, alle mercuriali ed ai listini delle Camere di Commercio ed alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso;

– al prezzo mediamente praticato dall’azienda nelle cessioni ai grossisti, per i generi in natura prodotti dall’azienda e ceduti ai dipendenti (gratuitamente o meno).

Sono esenti i compensi in natura di valore complessivo non superiore a € 258,23, pertanto, in caso di valore superiore, lo stesso è interamente imponibile.

Il quesito e la soluzione dell’agenzia delle entrate

La società Istante, la quale si occupa del commercio all’ingrosso di generi alimentari e non, ha introdotto a favore dei dipendenti la possibilità di acquistare i prodotti commercializzati con uno sconto del 5% sul prezzo di vendita. Da prassi aziendale è previsto il riconoscimento del personale dipendente tramite badge, il quale consente la fruizione della scontistica per acquisti esclusivamente personali, nei limiti della retribuzione netta.

Contestualmente, La Società riconosceva anche promozioni al resto della clientela, pur in tempi e in luoghi non omogenei, di valore mediamente più elevato, i quali non potevano essere cumulati con gli sconti che possono ottenere i dipendenti tramite il proprio badge. L’Istante, in qualità di sostituto d’imposta, chiede se la concessione dello sconto ai propri dipendenti, rappresenti, per gli stessi, un compenso di natura imponibile soggetto alla ritenuta d’acconto Irpef.

L’Agenzia delle Entrate, preliminarmente, rinvia al testo dell’articolo 51 del Testo unico delle imposte sui redditi ed al principio di onnicomprensività, definendo la regola generale di assoggettamento a tassazione di tutto ciò che il dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro. A tal riguardo, l’articolo 51, comma 3, del TUIR, stabilisce che “ai fini della determinazione in denaro dei valori si applicano le disposizioni relative alla determinazione del valore normale dei beni dei servizi contenute nell’articolo 9. Il valore normale dei generi in natura prodotti dall’azienda e ceduti ai dipendenti è determinato in misura pari al prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni al grossista”.

In seguito, richiama la disciplina sugli “sconti d’uso”, ricordando, in particolare, la Risoluzione n. 26/E/2010, con la quale è stato precisato che per i beni ed i servizi offerti dal datore di lavoro ai dipendenti, il loro valore normale di riferimento può essere costituito dal prezzo scontato che il fornitore pratica sulla base di apposite convenzioni ricorrenti nella prassi aziendale.

Ai fini della definizione del valore imponibile l’Agenzia delle Entrate richiama la Circolare n. 326/1997 del Ministero delle Finanze, ove si precisa che: il reddito da assoggettare a tassazione è pari al valore normale soltanto se il bene è ceduto o il servizio è prestato gratuitamente, invece laddove per la cessione del bene, anche se è prodotto dall’azienda e ceduto al dipendente, o la prestazione del servizio il dipendente corrisponde delle somme (con il sistema del versamento o della trattenuta) è necessario determinare il valore da assoggettare a tassazione sottraendo tali somme dal valore normale del bene o del servizio.

Nel caso di specie, considerato che il lavoratore corrispondeva il valore normale del bene sottraendo gli “sconti d’uso”, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto non imponibile l’importo di tale sconto.

Conclusione

L’Interpello 158 del 28 marzo 2022 fornisce chiarimenti rilevati nella cessione di beni nei confronti dei dipendenti con concessione di una scontistica specifica, soprattutto per aziende che si occupano di commercio al dettaglio.

 Il dubbio rilevava circa il regime fiscale della scontistica; in particolare ci si domandava se la diminuzione del prezzo dovesse essere valorizzata ai fini del fringe benefit, quale servizio offerto dall’azienda a favore dei dipendenti, e pertanto rientrare nel limite di esenzione pari ad euro 258,23.

L’Agenzia sdogana questo tema, utilizzando come parametro di riferimento il prezzo al grossista e riprendendo la disciplina degli “sconti d’uso”. Tale definizione è stata declinata in tal contesto nello sconto convenzionalmente applicato ai dipendenti, e ne determina la non imponibilità, atteso che il valore normale di riferimento è pari alla differenza tra il valore normale del bene ricevuto e le somme pagate.

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